La Repubblica italiana è schiava dellarticolo 138 della Costituzione: la norma che prevede un procedimento rinforzato ovvero una maggioranza qualificata per approvare una legge di rango costituzionale, facendo di fatto in modo che nessun esecutivo riesca a possedere i numeri per raggiungere il quorum necessario. Così il bipolarismo condiviso dalle forze politiche della seconda Repubblica ha trovato fondamento giuridico esclusivamente nellindicazione sulla scheda elettorale del nominativo dellaspirante primo ministro. Per dare compiutezza logica e giuridica a tale rilevante novità il Parlamento avrebbe dovuto approvare una modifica della Carta che prevedesse, in via analogica con quanto statuisce per le Regioni, il principio simul stabunt simul cadunt (la sfiducia allesecutivo comporta necessariamente nuove elezioni). Vuoi per linerzia più o meno dolosa del Parlamento, vuoi per la difficoltà di valicare il quorum dellarticolo 138, così non è stato e lItalia si ritrova il bipolarismo di Pulcinella.
Da cinquantanni agli italiani ad ogni crisi di governo non rimane che la pantomima della prassi o consuetudine costituzionale: quella che sui libri di diritto si chiama Costituzione materiale, la golden-share del Palazzo rispetto alla volontà degli elettori. Infatti per le ipotesi non contemplate dalla Costituzione i connazionali sono costretti a rimettersi alle interpretazioni creative del presidente della Repubblica, ultimo custode delle sorti della nazione.
Il meccanismo sembra complesso, ma in realtà è più o meno come il gioco delle tre carte e fa sempre scopa chi elegge linquilino del Quirinale. Scalfaro non tradì la Costituzione, ma la volontà degli italiani: tuttavia nella scheda elettorale non era indicato il nome di Berlusconi e pertanto tale assunto non fu documentalmente dimostrabile. Oggi però siamo in presenza di un vuoto legislativo che non è colmato né da norme scritte né da prassi costituzionali precedenti: perché mai si è verificato un simile impaccio del nostro ordinamento. Troppo comodo affermare che siamo una Repubblica parlamentare e qualsiasi maggioranza può reggere un esecutivo. Il giochino trasformista formalmente irreprensibile è passato sub regno scalfariano, ma oggi il Presidente della Repubblica non potrebbe avventatamente ignorare il quid novi dellindicazione del premier sulla scheda elettorale. In tal caso la volontà della stragrande maggioranza degli italiani sarebbe sbugiardata per creare una stravagante consuetudine costituzionale contro loro stessi.
Il problema non è solo di sostanza, ma anche di forma. Se nessuno riesce mai via 138 a riformare il sistema di elezione del premier, le bicamerali falliscono e non esistono regole scritte a tutela del voto degli italiani, linterpretazione di buona fede dellarbitro ultimo dovrà privilegiare la loro volontà o no? Difficilmente Napolitano potrà avallare unipotesi che tecnicamente traballa anche per la Costituzione materiale più spregiudicata, perché la dottrina anti-ribaltone questa volta si nutre di un dato giuridico documentalmente inconfutabile: la maggioranza delle schede elettorali. Il fondamento dello stato di diritto e del parlamentarismo stesso (che farebbe propendere per lipotesi ribaltonistica) è la volontà dei cittadini non il vuoto legislativo da riempire con prassi aggiustabili a seconda delle convenienze, siano esse bianche rosse o nere.
Un ipotetico ribaltone manterrebbe lItalia schiava non solo dellincapacità della politica di riformare lorganizzazione di governo, ma soprattutto di partitini e gruppuscoli di deputati o senatori in grado di mettere al giogo del ricatto qualsiasi maggioranza. Non è un problema di destra o sinistra, ma di serietà della classe politica (che trova il suo apice gerarchico nel Capo dello Stato) di non tradire la volontà di chi ne legittima lesistenza stessa: gli elettori.
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