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Conciliazione, quante inesattezze sull'Unità

Entro pochi giorni il Tar del Lazio deciderà sul ricorso contro il regolamento del ministero della Giustizia sulla mediaconciliazione, l’istituto che impone il ricorso obbligatorio alla mediazione e alla conciliazione nelle controversie civili e commerciali. L'Unità si è occupata dell'argomento scrivendo parecchie inesattezze...

Conciliazione, quante inesattezze sull'Unità

Milano - Introdotta dal governo lo scorso anno, la mediaconciliazione è un istituto che consente a chi si trovi coinvolto in una lite di rivolgersi, prima che al tribunale, a un organismo preposto dal ministero della Giustizia a risolvere in via arbitrale la controversia. L’effetto auspicato è quello di decongestionare la giustizia civile ordinaria. L'esecutivo ha introdotto l'obbligatorietà della conciliazione nel decreto Mille proroghe, ma solo per alcune materie: locazioni, affito d'azienda, contratti bancari e assicurativi, patti di famiglia, questioni ereditarie, responsabilità del medico. Rinviata al 2012 l'obbligatorietà per le questioni condominiali e i sinistri stradali. Immediata la reazione negativa di una parte dell'opposizione. L’Organismo unitario dell’Avvocatura e numerosi ordini e associazioni forensi hanno presentato un ricorso al Tar contro il regolamento attuativo varato dal ministero della Giustizia. La decisione dovrebbe arrivare entro una decina di giorni. Sull'argomento è intervenuta l'Unità stroncando in toto l'azione riformatrice del governo. Una critica legittima dal punto di vista politico, ma con molte lacune sotto il profilo tecnico-giuridico. L'avvocato Marta Colombo, di Milano, ci ha aiutato a individuare tutte le inesattezze comparse nell'articolo "Niente giudici né avvocati il civile diventa business", di Bianca Di Giovanni, e nell'editoriale di Concita De Gregorio, "Giustizia privata".

Il mediatore non è un giudice "La prima inesattezza - spiega l'avvocato Colombo - è quella di considerare il mediatore come un arbitro o giudice privato, cioè un soggetto che "decide" la lite. In realtà il mediatore non decide nulla ma, attraverso tecniche di negoziazione e di gestione dei conflitti, che prendono in considerazione anche la psicologia e l'emotività delle parti, cerca di guidare le parti al raggiungimento di un accordo di cui le parti stesse saranno artefici (nel senso che le parti stesse redigeranno l'accordo con l'ausilio dei propri legali). Pertanto il mediatore non giudica e non decide alcunché; questo comporta che non deve avere una preparazione in materia giuridica, dato che non è chiamato ad applicare leggi e norme (se non quelle che regolano il procedimento di mediazione). Compito del mediatore è condurre le parti a trovare soluzioni creative, ad "allargare la torta", indagando sui veri interessi delle parti coinvolte, al di là delle loro pretese immediate e giuridicamente inquadrabili: tutte cose che un giudice non può e non deve fare".

Cosa serve per fare i mediatori "Quanto al fatto che per essere mediatori sia sufficiente una laurea triennale - spiega Colombo -  questa disposizione non è altro che il recepimento della direttiva CE che regolamenta la mediazione. Quanto agli avvocati, è vero che la loro presenza non è obbligatoria, ma quale avvocato di fronte al cliente, che gli presenta la controversia in cui è coinvolto, si limiterà ad "inviarlo" (vedi articolo della Di Giovanni) al mediatore? Sarà, invece, molto più probabile che l'avvocato accompagni il cliente in mediazione, così partecipando attivamente alla mediazione stessa. Sarà anche interesse dell'avvocato partecipare alla mediazione non solo per sostenere il cliente, ma anche per verificare la regolarità della procedura.

Tutte le verità sui costi In merito ai costi è necessaria un po' di chiarezza: è vero che la mediazione "costa" talvolta più del contributo unificato delle causa giudiziarie. Ma i costi di una causa - spiega l'avvocato - non si limitano al contributo unificato, ci sono le notifiche, le perizie a volte costosissime (in materia sanitaria, ad esempio), il compenso agli avvocati che sicuramente è più alto per una causa in cui si fanno dieci udienze, piuttosto che per una conciliazione che si risolve in una/due giornate. Ecco, il tempo è un "costo" fondamentale: è preferibile per una persona attendere quattro/cinque anni per una sentenza o trovare un accordo entro quattro mesi? Occorre considerare, inolte, i costi in termini emotivi, di stress, di aspettative che sono collegati ad una causa, non solo gli esborsi economici. Certamente la giustizia tradizionale ha una rilevanza costituzionale e una "sacralità" che nessuno le può togliere, ma quante volte accade che - per le regole imposte dalla procedura o per le stesse disposizioni normative - alcuni aspetti fondamentali che coinvolgono le relazioni (personali, contrattuali, commerciali) non possano essere presi in considerazione perché "non rilevanti" dal punto di vista giuridico? Quante volte leggendo una sentenza vien da dire "è un'ingiustizia", perché applicando rigidamente le norme non si ottiene il risultato che "umanamente" riteniamo giusto?

Quante volte un accordo può essere meglio Il ruolo del mediatore è quello di una persona che, prima di tutto ascolta le parti, insieme e separatamente, e cerca di capire le loro emozioni e i loro veri desideri che vanno oltre le richieste e le pretese. Questo consente, molto spesso, di salvaguardare i rapporti futuri fra le parti (siano esse imprese o privati) che invece una causa di solito compromette irrimediabilmente: se rimango in causa per cinque anni con un mio fornitore, difficilmente in quel periodo continuerò a rifornirmi da lui e all'esito della causa certamente sarà impossibile riprendere i rapporti commerciali. Se invece troviamo insieme un accordo, con l'aiuto del mediatore, sarà più semplice continuare ad avere relazioni commerciali. In questo le Camere di Commercio sono già avanti perché da tanti anni svolgono servizio di conciliazioni con percentuali ragguardevoli di accordi raggiunti. Con l'indubbio ulteriore vantaggio che l'accordo, come tutta la procedura di conciliazione è riservato (diversamente dalla causa che è pubblica), quindi nessuno al di fuori delle parti ne verrà a conoscenza.

Esistono anche dei punti deboli La conciliazione introdotta dalla D.lgs.28/2010 e dal DM180/2010 ha un punto debole: è l'obbligatorietà, laddove ogni corso di mediazione insegna che la mediazione ha successo se è volontaria. Peraltro, si tratta di una mossa analoga a quella della introduzione delle "quote rosa" in politica (o del congedo parentale obbligatorio per gli uomini in Norvegia), una forzatura per far passare un cambiamento culturale che altrimenti avrebbe una diffusione molto più limitata.

L'esempio (da manuale) dell'arancia Un piccolo esempio può servire a capire cosa fa esattamente un mediatore: due sorelle litigano per il possesso dell'unica arancia che c'è in casa. Un giudice o un arbitro cosa farebbe? Dividerebbe a metà l'arancia e ne darebbe metà all'una e metà all'altra sorella. Il mediatore chiede alle sorelle "perché" vogliono l'arancia: una risponde che le serve la buccia per fare una torta, l'altra che vuole spremerla per bere il succo.

Ecco che, con una breve indagine che va oltre la pretesa (voglio l'arancia) si possono scoprire gli interessi reali delle persone (il succo/la buccia) e accontentare entrambi al 100% invece che "solo" al 50%.

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