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La Consulta ignora Camera e Senato: sì al processo Ruby

RomaIl processo Ruby va avanti a Milano, niente Tribunale dei ministri per Silvio Berlusconi. La sentenza della Corte costituzionale sul conflitto d’attribuzioni sollevato dal parlamento gela le speranze di chi puntava sull’annullamento di tutti i provvedimenti della Procura e dei gip meneghini che hanno portato al procedimento contro l’ex premier per concussione e prostituzione minorile della giovane tunisina.
Per la Consulta, dunque, i magistrati non avevano l’obbligo di trasmettere al Tribunale dei ministri gli atti con i quali è stato richiesto dai pm e poi concesso dal gip il giudizio immediato per il Cavaliere, nè dovevano almeno darne una comunicazione alla Camera dei deputati, che il 5 aprile scorso (insieme al Senato) ha fatto ricorso alla Consulta ritenendo che erano state violate le sue prerogative.
La decisione è arrivata rapidamente, ieri sera, dopo una Camera di Consiglio di 3 ore, in cui il caso è stato discusso insieme a quello «simile» dell’inchiesta sull’ex Guardasigilli Clemente Mastella: anche qui il ricorso per conflitto di attribuzione del Senato sosteneva l’illegittimità degli atti delle procure di Santa Maria Capua Vetere e di Napoli, chiedendo la trasmissione degli atti al Tribunale dei ministri.
Le indiscrezioni parlano di un’ampia e decisa maggioranza per il no creatasi tra i giudici costituzionali. Sarebbe stato subito chiaro che i pochi a favore della tesi opposta non avevano chance.
I dettagli si conosceranno tra un mese, quando sarà pubblicata la motivazione cui sta lavorando il relatore Giuseppe Tesauro, ma sembra che al centro del verdetto ci sia stata la valutazione che non poteva valere come precedente, viste le differenti motivazioni, la sentenza per il processo all’ex ministro Altero Matteoli del 2010, in cui l’Alta Corte aveva stabilito per i pm l’obbligo di comunicare alla Camera di appartenenza la decisione di archiviare gli atti trasmessi dal Tribunale dei ministri, perchè non aveva competenza sul reato.
La reazione del Pdl è durissima, mentre il Pd festeggia. A riprova del fatto che, soprattutto in tema di giustizia, l’attuale maggioranza è su fronti opposti.
«Ci troviamo in una democrazia dimezzata - denuncia Sandro Bondi -, una democrazia che di fatto dipende da un potere costituzionale sovraordinato rispetto alla democrazia liberale classica, che trae la propria legittimità dalla sovranità popolare». Per il coordinatore nazionale Pdl, in Italia «il rapporto fra potere legislativo e ordine giudiziario è un problema che, se non affrontato alla radice, svuota di fatto la democrazia di ogni reale potere derivante dalla volontà popolare».
Parla, invece di «esito scontato» il senatore Pd Felice Casson: «Esistono delle norme costituzionali che vanno rispettate, soprattutto in materia di legalità che neanche il Parlamento dovrebbe dimenticare per ragioni di maggioranza». E Marilena Samperi aggiunge: «Come si poteva anche solo pensare che la più alta istituzione repubblicana potesse accettare la falsa verità di Ruby nipote di Mubarak?».
Preso da euforia, l’avvocato della procura di Milano, Federico Sorrentino, rinuncia a ogni aplomb e arriva a commentare: «Finalmente ha prevalso la forza del diritto su quella del denaro».

Roberto Nania e Giuseppe De Vergottini, legali di Camera e Senato, nell’udienza hanno denunciato la violazione del «principio di leale collaborazione tra poteri di Stato».

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