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Conversione di un povero diavolo: «La mia creatività è figlia di Dio»

Conversione di un povero diavolo: «La mia creatività è figlia di Dio»

Avviso: Lucio Dalla non è uno di quei bei cattoliconi sinceramente reazionari che nelle puntate scorse sono passati per queste pagine. Non rimpiange Pio XII, la sedia gestatoria, il venerdì di magro, le donne in chiesa a capo coperto, il prete che tuona dal pulpito. Non si è visto al Family Day e nemmeno sostiene «Radici Cristiane», la rivista del centro culturale Lepanto. Bolognese classe 1943, se proprio fosse costretto a scegliere tra Biffi e Dossetti, i due uomini che nell’ultimo mezzo secolo hanno polarizzato la vita religiosa della sua città, sceglierebbe Dossetti, che negli ultimi anni di vita confondeva curiosamente la Costituzione col Vangelo. Eppure. Eppure l’hanno visto a messa a San Domenico, una chiesa dove non si passa per caso o per turismo come nella centralissima Santo Stefano, che è a pochi metri dalle Due Torri e a pochi centimetri dalla casa di Prodi. Eppure l’altra sera in televisione cantava ispirato davanti alla Basilica di San Francesco, ad Assisi, in mezzo ai frati. Eppure il suo disco appena uscito è più mistico di tanta musica post-conciliare, quella fatta con le chitarre beat. Per analizzarlo più che un critico musicale ci vorrebbe un teologo. C’è una canzone intitolata «I.N.R.I.» che è il grido impressionante di un angelo caduto: «Sono tuo figlio anch’io/ Dio». In «Come il vento» ci sono metafore eucaristiche, guglie e campanili, chiese aperte e candele che nonostante tutto non si spengono. E «Liam» è la storia di una crocifissione, non di Cristo ma di un povero cristo. Testi del genere non si scrivono per passare il tempo, probabilmente non sono nemmeno funzionali alle vendite perché l’Italia non è il Brasile, dove ai vertici delle classifiche arriva padre Marcelo Rossi con brani intitolati «Aleluia», «Luz divina», «Santo, santo, santo»... Quella di Lucio Dalla non è una conversione ma, come si dice, un percorso. Rispolverando i vecchi dischi ci si accorge che pullulano di angeli come gli affreschi del Correggio, e non si può dimenticare che il protagonista del suo primo grande successo, «4 marzo 1943», pur avendo abitudini discutibili, era soprannominato Gesù Bambino.
Bestemmi e bevi vino come il personaggio della canzone?
«Io non bestemmio e non bevo vino. Non l’ho mai bevuto, sono astemio, proprio non mi piace».
Hai fatto caso anche tu che a Bologna, città per nulla bigotta, c’è un’altissima concentrazione di artisti cattolici praticanti, sia cantanti che comici? Penso a te, a Luca Carboni, a Biagio Antonacci, a Paolo Cevoli, a Vito...
«Luca Carboni lo sapevo, ci ho lavorato insieme ed è sempre stato molto credente. Gli altri no, lo scopro ora, però non mi stupisce. Credo che abbia a che fare con la creatività. Non ho mai pensato che dall’uomo potessero uscire risorse e fantasie che non dipendessero da un’apertura dell’anima verso le cose che non sono visibili».
Vai a San Domenico per un motivo particolare? Si dice che la domenica sera sia la chiesa bolognese più affollata grazie alla brevità della messa, mezz’ora circa. Ma forse sono solo malignità.
«A San Domenico ci andavo anche da bambino e poi sono diventato molto amico di padre Barzaghi, un domenicano che è venuto spesso a casa mia. Però a messa vado dappertutto, se sono all’estero anche in chiese non cattoliche».
Sei stato a messa anche da Padre Pio? Ho letto che tua madre era una sua devota.
«Padre Pio era una persona straordinaria e andavo spesso con mia madre a San Giovanni Rotondo. Lei faceva la sarta, aveva clienti nella zona, a Foggia, a Manfredonia, a cui portava le ultime novità della moda. Io sono molto legato a quel territorio e anche le mie radici cristiane sono profondamente sudiste. Il Gargano è una terra dura e affascinante dove ci sono gli angeli e i diavoli, dove il culto dei santi convive con elementi pagani. La mia impronta cristiana deriva da quella cultura mista».
Tutto si tiene, uno scrittore sudamericano ha scritto che il perfetto cattolico edifica la cattedrale della sua anima su cripte pagane. Proseguendo sul versante educazione, hai studiato dai preti?
«Sono stato a Treviso in un collegio gestito da sacerdoti, si chiamava Pio X. Ma probabilmente dal punto di vista religioso è stato ininfluente, me lo ricordo solo come un momento felice della mia vita, mi divertivo, facevo sport».
Hai letto l’Antico e il Nuovo Testamento?
«Li ho letti e ho letto anche l’ultimo libro del Papa, Gesù di Nazareth».
Complimenti: è un libro difficile, denso, quasi per teologi.
«Mi ha colpito più di quanto immaginassi. È un libro potente anche se non mi trova d’accordo quando affronta le parabole cercando di dare una logica storica e teologica alle storie del Buon Samaritano e del Figliol Prodigo. Io sento il bisogno di interpretazioni più semplici. Invece mi è piaciuto quando parla del Discorso della Montagna, che assieme alla Crocifissione è il momento più straordinario del Vangelo».
Visto che hai letto l’Antico Testamento, quali pene bibliche vorresti infliggere a chi scarica illegalmente da internet il tuo ultimo album? L’occhio per occhio dente per dente?
«Sono contrario alle pene corporali e chi scarica la mia musica da internet mi fa un grande favore, anche se non la paga».
Questo è molto evangelico, come l’uomo che non è fatto per il sabato ma il sabato che è fatto per l’uomo. Porti al collo una croce per ricordare Gesù che ha pronunciato queste parole?
«No, però conservo il rosario che mi regalò mia madre quando facevo il lupetto. Trovo che indossare gli oggetti non sia segno di nulla, c’è chi porta la croce come forma di scaramanzia».
Più o meno come portare al collo un corno rosso?
«No, tra croce e corno c’è pur sempre una bella differenza».
Se non da segni esteriori, da che cosa si dovrebbe riconoscere un cristiano?
«Dal rapporto con gli altri. Io cerco di non avere nemici ma quando scopro di averne faccio di tutto per capire come mai. Mi muove la curiosità, non il rancore».
Nel testo di «I.N.R.I.» interpreti un povero diavolo che implora lo sguardo di Dio. Non pensi che sia uno sguardo anche un po’ da temere?
«Magari non ho la simpatia di Dio ma non sono capace di immaginare un Gesù Cristo ostile».
Da bolognese, partecipi alla processione della Madonna di San Luca?
«La facevo da bambino poi non ci sono più andato, quando di recente l’ho incontrata in città mi sono commosso».
Le processioni sono una faticaccia.
«Sì, non sono delle scampagnate, e anche andare a messa qualche volta è una rottura di coglioni.

Ma sento che è qualcosa da fare, per stare insieme agli altri e offrire un piccolo omaggio sacrificante».

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