Controcultura

Così Piacenza si butta via ignorando il suo Klimt

A quasi nove mesi dal ritrovamento dopo il furto del 1997, l'opera attende ancora di essere esposta

Così Piacenza si butta via ignorando il suo Klimt

Non sono molti, in Italia, i musei dell'Ottocento e del primo Novecento. Se si escludono Milano, con il prezioso benché piccolo Museo di Villa Belgiojoso Bonaparte, rinforzato negli ultimi anni dalle Gallerie d'Italia, ponderosa impresa di Intesa Sanpaolo, e Roma con la sempre minacciata Gnam dove, dopo la direzione di Sandra Pinto, la fantasiosa Cristiana Collu procede a comprimere gli spazi degli artisti dell'Ottocento, restano soltanto i bagliori della Galleria d'arte moderna Sant'Anna di Palermo, dotata di un poderoso Franz von Stuck, e i sontuosi ambienti del luminoso Museo Revoltella di Trieste. E la lista potrebbe essere terminata, se non si considerassero le importanti sezioni di Palazzo Pitti e di Capodimonte.

Ma, di tutti, quello più inatteso e ricco di opere rivelatrici è a Piacenza: la Galleria Ricci Oddi. Il Museo per eccellenza dell'Ottocento italiano. Attende di fargli concorrenza in un'altra importante città, Pescara, il museo che con passione e ambizione, destinandogli la propria raccolta, frutto di una vita, ha creato Venceslao Di Persio. Un museo grande e vero e, potremmo dire, progressivo, pensando a quante scoperte e nuove collisioni con l'arte francese ci annuncia il vertiginoso collezionista. Per molti aspetti simile, nella sua vocazione e specializzazione, Giuseppe Ricci Oddi fu una personalità versatile e ritrosa, un collezionista esigente e solitario che acquistò i suoi primi quadri, un Francesco Filippini e un Gaetano Previati, nel 1898, per proseguire poi con Mosè Bianchi e Stefano Bruzzi e come ancora, con la Biennale del 1910, Francesco Paolo Michetti, Giuseppe Casciaro, Giulio Aristide Sartorio, Cesare Maccari. A partire dal 1911 intensifica la sua passione. Nel 1913 acquista cinque dipinti di Antonio Mancini (il grande pittore prediletto anche da Venceslao). Nello stesso 1913 compra Antonio Fontanesi, nel '16 il celebre Morticino di Michetti. Più tardi, cercando la pittura di paesaggio, incrocerà Giuseppe Pellizza da Volpedo, Giovanni Segantini, ancora Previati; e poi gli impressionisti italiani Zandomeneghi e De Nittis, fino ad Amedeo Bocchi. Conserva la sua collezione a Piacenza, in un appartamento di via Poggiali 24, con gelosa circospezione. Improvvisamente nel 1924 crede che sia opportuno condividerla e addirittura costruire un museo. Così la Galleria Ricci Oddi, edificata da Giulio Ulisse Arata in armonia con ciò che restava del monastero di San Siro, viene inaugurata l'11 ottobre del 1931, in assenza del donatore, troppo schivo per prendere parte alla cerimonia a cui parteciparono i principi di Piemonte, Umberto e Maria José di Savoia.

Negli anni successivi continuano gli acquisti, a cui provvede direttamente il fondatore (sono decine di opere, tra le quali risalta Donne in barca di Felice Casorati, dalla Biennale del 1934). Alla morte di Ricci Oddi, nel 1937, si scoprì che aveva lasciato al suo museo quasi tutto il denaro liquido, le azioni e persino i gioielli di famiglia per consentire la gestione e il continuo arricchimento della raccolta (la svalutazione della lira dopo la seconda guerra mondiale rese vano il capitale, impiegato in titoli di Stato).

Tanta passione non è stata premiata. Se si guarda il sito, come oggi si dice, del museo, si leggono notizie sconcertanti, e altrettanto sconcertati commenti. Il Museo è stato chiuso tutto il mese di agosto per lavori manutentivi, e si può pensare che fino al 27 giugno, quando fu presentato l'imperdibile libro Poesie della luce e dell'ombra di Giusy Cafari Panico, sia stato chiuso per mesi. Quando era aperto l'osservazione di alcuni visitatori era di questo tenore: «È scandaloso che la domenica sia chiuso dalle 12 alle 15, una mancanza di rispetto nei confronti di chi viene da lontano che non può visitare la galleria in giornata. Chi la dirige non è al passo con i tempi. Svegliaaa!». Non si può dire che la città abbia un rapporto molto vivo con la sua principale Galleria, né che faccia qualcosa per valorizzarla. Sono passati infatti quasi nove mesi dal ritrovamento del Ritratto di signora di Gustav Klimt, rubato nel 1997. La città addormentata non si è molto prodigata per fare l'unica cosa sensata: pretenderne la restituzione dall'autorità giudiziaria (ha dovuto attendere da dicembre 2019 a giugno 2020!) ed esporre il capolavoro con una gran festa. E tanto più come segnale di speranza dopo che la città è stata ferita e ha sofferto, in penitenza, il tempo della clausura.

Piacenza meritava e merita di alzare la testa, contrapponendo l'arte più alta al male. Se lo augurava il presidente emerito e benemerito della prodiga e vivace Banca di Piacenza, Corrado Sforza Fogliani, quando lo ebbe in deposito. «Quanto rimarrà qui - disse - non lo so. Credo che l'evento di presentazione sarà nella seconda metà di giugno. L'abbiamo ospitato in maniera del tutto gratuita in banca perché crediamo che non debba farsene carico né lo Stato né la Galleria Ricci Oddi. Ci sarà soltanto una presentazione e successivamente si farà un evento importante anche per suggellare ulteriormente che il quadro sia autentico e diradare tutte le ombre. De Paolis che è il restauratore, l'ha visto e l'ha trovato in buono stato, e in effetti è in buone condizioni». Poi, nonostante gli auspici, più niente. Che il furto potesse avere un potente effetto pubblicitario (e oggi anche riparatorio) è la convinzione del compianto direttore e amico Stefano Fugazza, che lo aveva fantasiosamente immaginato per promuovere la mostra «Da Hayez a Klimt», programmata nei giorni in cui il furto avvenne: «Mi chiedevo - scrive Fugazza - che cosa si sarebbe potuto fare per dare alla mostra notorietà, per garantirle un successo di pubblico che non si era mai visto in precedenza. E l'idea che mi era venuta era proprio quella di organizzare deliberatamente un finto furto del Klimt, poco prima della mostra, esattamente - mio Dio - quello che poi è avvenuto, per poi far ritrovare l'opera dopo qualche tempo nel corso dell'esposizione».

Tanto che, altrettanto fantasiosamente, la magistratura piacentina non mancò di iscrivere nel registro degli indagati, per ricettazione, la vedova del direttore, Rossella Tiadina. Giallo creato dalla fervida immaginazione del pubblico ministero Ornella Chicca. Un avviso di garanzia postumo, per procura, in perfetta corrispondenza con la pensione di reversibilità: come alla morte del marito la vedova eredita la sua pensione, così, nella fantasia del magistrato, eredita anche i sospetti e le eventuali indagini. E se anche Fugazza avesse esternato alla moglie la sua macchinazione criminale, è tutto da dimostrare che lei ne fosse complice. D'altra parte, a spiegare il senso delle non peregrine inclinazioni «criminali» di Fugazza, basterebbero gli appunti del diario in cui si interrogava su «cosa si sarebbe potuto fare a scanso di equivoci per garantirsi nei confronti degli inquirenti: consultare un notaio, depositare presso di lui una lettera che spiegasse le reali intenzioni dell'operazione».

Quello che è certo è che la neghittosa città non ha fatto nulla di simile neanche dopo il fortunoso ritrovamento del quadro, a distanza di 22 anni, con un potenziale entusiasmo inesauribile, e la proclamazione della festa grande. E invece la galleria è chiusa per tutto agosto, il Klimt fa la muffa nella cassaforte della banca, nessuno pensa di farlo vedere ai piacentini e al mondo. Pare che la ragione sia, debole comunque, il desiderio del presidente della Regione, Stefano Bonaccini, che vuole che l'epifania del Klimt avvenga, con euforia, nell'ambito di Parma Capitale della cultura, 2020 slittato al 2021. Povera Piacenza! Povero Ricci Oddi che acquistò il dipinto quasi cento anni fa, e nessuno gliene vuole attribuire l'onore, affondando la sua creatura nella nebbia. Dev'essere la maledizione di Piacenza, se è vero che anche l'altro assoluto capolavoro della città giace in solitudine nel remoto collegio Alberoni. È l'Ecce homo di Antonello da Messina, vertice del Rinascimento italiano. La città, per l'inutile ripicca di pochi stitici e meschini, non volle concederlo all'Expo di Milano del 2015, preferendo tenerlo gelosamente nascosto.

Piacenza è fatta così: è ritrosa, riservata, autolesionista. Preferisce farsi male che farsi vedere.

Ma oggi deve risorgere.

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