Letteratura

Così Scerbanenco rifiorisce con Fior

Cecilia, figlia di Giorgio, interpreta le copertine del disegnatore per i romanzi del padre

Così Scerbanenco rifiorisce con Fior

Devo cominciare queste note con una confessione: quando mi fu annunciato che le copertine di mio padre sarebbero state disegnate da Manuele Fior, avevo solo una vaga idea di chi fosse, poiché erano passati molti anni - decenni - dai tempi in cui leggevo fumetti, come ogni bravo adolescente.

Prima ancora delle mie ricerche su Google, arrivò la copertina del romanzo L'isola degli idealisti, dove la villa dei protagonisti era ritratta come un castelluccio un po' inquietante. Devo fare una seconda confessione: sono assolutamente negata nel disegno e in tutte le arti figurative, di conseguenza provo grande ammirazione per chi ha invece il dono di racchiudere un pensiero, un'anima, in un tratto di penna o in un colpo di scalpello. Da ragazzina, all'epoca in cui leggevo ancora i fumetti, restai folgorata dai Prigioni di Michelangelo, perché in quelle figure mezze sbozzate lessi, con grande stupore, un intero romanzo. Mi affascina, insomma, la capacità simbolica dell'essere umano, quel creare un mondo attraverso la parola, raccontare una storia con un'immagine, quasi medium e alchimisti oltre che artisti.

Ho incontrato Fior solo per pochi istanti, a una affollatissima serata organizzata dalla casa editrice, dove ci scambiammo qualche parola. Mi disse che i romanzi di mio padre gli piacevano molto e so che non fu una frase di circostanza, perché, da quel castelluccio un po' inquietante in poi, Manuele ha sempre colpito il bersaglio. Ho conosciuto in famiglia l'arte dell'illustrazione del secolo scorso. Quando mio padre era redattore e poi direttore di riviste, dagli anni trenta fino alla metà dei sessanta, si usava ancora chiedere a disegnatori famosi un'immagine per accompagnare un racconto o la puntata di un romanzo. Disegnini divertenti spesso illustravano anche le rubriche o le inchieste di costume. I fratelli Mondaini, specializzati in figurine umane assai ironiche, Paola e Giaci (padre di Sandra), frequentavano la nostra casa. Mio padre amava molto questo aspetto del suo lavoro di giornalista, che allora, senza computer, consisteva in una costruzione artigianale della rivista, pagina per pagina, un collage di immagini e testi, prima delle prove di stampa. Mia madre, che era una delle sue giornaliste, mi ha raccontato infinite volte l'entusiasmo e l'allegria di quei pomeriggi in redazione, nella vecchia Rizzoli di piazza Carlo Erba a Milano, insieme all'illustratore e al grafico, a esaminare e commentare bozzetti, schizzi a matita fatti al momento. Alcuni li ho ancora, conservati con amore da Nunzia Monanni in una vecchia scatola regalo di liquori Stock.

Probabilmente, è per tutto questo retaggio familiare che mi sono subito innamorata delle copertine di Fior. Se ora vedessi delle sue nuove immagini ispirate a mio padre, alla rinfusa, senza titolo, credo che saprei identificare subito il romanzo a cui appartengono, tanto profonda, autentica, ne è la lettura. Per esempio, quel disegno che parrebbe una normale foto di classe di fine anno, i ragazzi tutti insieme con la maestra, nei loro maglioncini anni sessanta, di cos'altro potrebbe essere la copertina se non dei Ragazzi del massacro, allievi pronti a trasformarsi di lì a poco in assassini e torturatori? Ma Fior ha colto anche un aspetto della narrazione di mio padre che mi era sempre sfuggito: un aspetto, una sfumatura, un po', come dire, horror. Io, nuova confessione, adoro l'horror, non quello violento, ma quello costruito su sensazioni, presenze inquietanti, però non avevo mai associato mio padre a questo genere, tranne che per un racconto lungo scritto su un quadernetto in campo profughi in Svizzera, durante la seconda guerra mondiale. Eppure, Fior ha ragione: quel senso di minaccia, di premonizione che riesce a introdurre magicamente nei suoi disegni, che indugia tra architetture esatte e figurette stilizzate, appartiene davvero a Scerbanenco, anzi, è un elemento dominante delle sue storie, in una declinazione quotidiana dell'orrore, e per questo più inquietante. È il male che si annida dietro l'angolo, piccole avidità, meschine ostilità pronte a trasformarsi, per superficialità e stoltezza, in crudeli tragedie. Ma c'è anche l'amore, l'unico indefinibile, sfuggente sentimento che può salvarci dal buio dell'esistenza. E qui mi viene da pensare a L'intervista, una graphic novel di Fior che ho prontamente acquistato e subito amato.

Concludo con due soli esempi, dei molti che vorrei e potrei fare. Sulla copertina di Traditori di tutti, una figura di donna si allontana da un'auto ribaltata. È una silhouette rassicurante, una donna tradizionale, per bene, si sarebbe detto una volta: è la descrizione esatta della protagonista. Eppure, noi sappiamo - vediamo - che deve avere un ruolo cruciale nell'incidente - o è un delitto? - che si lascia alle spalle. In Si vive bene in due, una donna guarda un uomo di fronte a una grande libreria: sembra quasi di udirne il dialogo, l'amore, le speranze, i timori, le difficoltà.

Una storia di duecento e più pagine racchiusa in una figura di spalle che, almeno per me, è tanto indimenticabile quanto la storia che racconta mio padre.

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