Così la spazzatura edilizia diventerà ricchezza

Lentamente ma inesorabilmente la crisi finanziaria ed economica sta imponendo a tutti le proprie regole. La delibera del Cipe che stanzia oltre 17 miliardi di euro per grandi opere strategiche ne è la più elementare testimonianza, così come lo è l’accentramento presso la presidenza del Consiglio di quattro fondi ministeriali (attività produttive, università e ricerca, beni culturali, ambiente). In tempi di crisi la concentrazione delle risorse in pochi obiettivi capaci di essere, una volta raggiunti, un moltiplicatore di sviluppo è fondamentale. Ed è quello che si tenta di fare con l’accentramento dei fondi alla presidenza del Consiglio. Il contributo di ciascun ministro, d’altro canto, è essenziale nel definire gli obiettivi perché nessuno più di loro conosce il proprio settore e i nodi, antichi e recenti, che ne soffocano la crescita. Anche questa decisione, dunque, nasce dalla consapevolezza della gravità della crisi e dall’esigenza di superare una certa dose di immobilismo sin qui avuta.
Ma non è finita. La notizia di un documento riservato sulla «liberalizzazione» dell’edilizia (così è stata impropriamente definita dalla stampa nazionale) è anch’essa figlia di una crisi che non può essere superata solo dalla cantierizzazione di grandi opere pubbliche. La sua vastità come da tempo andiamo dicendo impone una mobilitazione dell’intero sistema economico e finanziario nazionale e da che mondo è mondo l’edilizia è il maggior volano per rilanciare nell’immediato la domanda pubblica e privata. Potremmo citare Barack Obama e il suo programma di strade, ponti e case o riandare con la memoria al primo dopoguerra per ricordare l’importanza dei cosiddetti cantieri di lavoro e capire l’importanza dell’edilizia nella ripresa dell’economia e nella grande ricostruzione nazionale.
Oggi l’operazione da fare è diversa ma altrettanto fondamentale. Da tempo sosteniamo, anche con emendamenti puntualmente ignorati e sulla base di alcune geniali analisi di molti studiosi, tra cui il professor Aldo Loris Rossi, noto architetto di levatura mondiale, che è giunta l’ora di ammodernare parte rilevante del nostro patrimonio edilizio. Il professor Rossi parla giustamente di «spazzatura edilizia» da eliminare con riferimento a quella postbellica senza valore storico, priva di qualità e di norme antisismiche costruita tra il 1945 e il 1975 che soffoca le periferie delle nostre grandi città, degradandole da ogni punto di vista. Una normativa semplice, capace di dare ai proprietari di immobili l’opportunità di abbattere la vecchia edilizia, costruendone una nuova e migliore per qualità e antisismicità e offrendo a ciascuno l’incentivo di cubature maggiori, può essere la leva per quella mobilitazione della ricchezza e dell’imprenditoria privata di cui il Paese ha bisogno in questo momento. Nella nostra tesi, naturalmente, c’è l’assoluta salvaguardia delle aree agricole, per cui le grida scomposte di una speculazione all’orizzonte sono solo sciocca propaganda dal momento che si opererebbe sul patrimonio edilizio esistente che va in parte abbattuto e ricostruito sulle stesse aree di sedime e con gli incentivi di maggiori cubature di cui si è parlato.
Se volessimo fare anche noi demagogia, diremmo che mentre a sinistra si chiede solo una indennità di disoccupazione, il centrodestra offre posti di lavoro, mobilitazione della ricchezza privata e un recupero delle degradate periferie, nonché il restauro conservativo dei grandi centri storici.

Altro è vigilare perché nelle pieghe di un provvedimento di questo tipo spesso di può nascondere la coda del diavolo, altro è opporsi pregiudizialmente a quanto già è stato fatto con grande successo in molte città europee come da almeno sei anni da queste colonne tentiamo invano di spiegare.

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