Cronaca giudiziaria

Caso Thyssenkrupp, il manager Espenhahn in carcere a 16 anni dal rogo

Espenhahn sconterà 5 anni per omicidio colposo, pena dimezzata rispetto alla condanna in Italia. Sinora i continui ricorsi gli avevano evitato il carcere. Nel rogo dello stabilimento torinese persero la vita 7 operai

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A sedici anni dal tragico rogo alla ThyssenKrupp di Torino, che costò la vita a sette operai italiani, in Germania si sono aperte le porte del carcere per Harald Espenhahn, il manager del suddetto gruppo industriale condannato per omicidio colposo. La sentenza definitiva a carico dell'uomo era stata emessa nel 2016 ma non era ancora stata eseguita a causa dei continui ricorsi che l'imputato aveva fatto alla giustizia tedesca, che pure aveva confermato l'indirizzo di quel pronunciamento, pur dimezzando gli anni di carcere disposti dai magistrati italiani. L'arresto di Espenhahn è avvenuto nei giorni scorsi, ma la notizia è stata diffusa stamani.

"Dopo tanto correre e scappare dalla giustizia, il signor Harald Espenhahn ha varcato la soglia del carcere. Non è un risarcimento, non è vendetta, è solamente l'unico epilogo che si sarebbe già dovuto compiere da tempo e che è stato solo rimandato", ha commentato sui social Antonio Boccuzzi, l'operaio sopravvissuto all'incendio nello stabilimento torinese della ThyssenKrupp nel dicembre 2007 e poi diventato anche parlamentare del Pd. In quel tragico rogo, lo ricordiamo, persero purtroppo la vita gli operai Antonio Schiavone, Roberto Scola, Angelo Laurino, Bruno Santino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò e Giuseppe Demasi. Espenhahn, amministratore delegato dell'azienda all'epoca della tragedia, era stato condannato in Italia a 9 anni e 8 mesi di carcere per omicidio colposo. La Cassazione aveva confermato le condanne anche per tutti gli altri imputati.

Il tribunale regionale di Essen aveva poi commutato il verdetto di colpevolezza a carico del top manager in una condanna a 5 anni di carcere in Germania, pena massima tedesca per questo reato. Nel frattempo, Espenhahn aveva avviato una serie di ricorsi. Uno al tribunale di Hamm, subito respinto, l'altro alla Corte costituzionale tedesca, lamentando che in Italia sarebbero state violate alcune norme sul giusto processo, in particolare sulle traduzioni degli atti processuali e sulla mancanza di motivazione del suo coinvolgimento nel rogo. La Corte costituzionale tedesca, tuttavia, a maggio aveva stabilito che il ricorso non fosse accettabile contro le modalità del processo in Italia e che, inoltre, la colpevolezza del manager fosse evidente. Così, per l'allora amministratore delegato dell'industria siderurgica si sono aperte le porte del carcere.

Rosina Platì, madre della vittima Giuseppe Demasi, ha però parlato di "magra vittoria", alludendo al dolore che ancora prosegue per i parenti degli operai deceduti. "Ci è arrivata la notizia che anche Espenhahn è finalmente in carcere ma sconterà la pena in semilibertà, andando solo a dormire in carcere. Non siamo contenti. Mettiamo la parola fine a questa sentenza che non ci soddisfa per niente", ha infatti dichiarato la donna. Nel frattempo prosegue il procedimento alla Corte europea dei diritti dell’uomo presentato dai famigliari delle vittime per l'eccessivo ritardo nell'esecuzione della pena. A novembre 2019, la medesima Corte europea aveva accolto il ricorso proprio per le lungaggini della giustizia.

Ora sarà la Corte di Strasburgo a stabilire di chi sia la responsabilità di questi ritardi tra Italia e Germania.

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