Di Fazio e le ragazze come "oggetti senza dignità": perché gli hanno ridotto la pena

Così i giudici della corte d'appello di Milano hanno ridotto a 9 anni la pena per il manager accusato di avere drogato e abusato di almeno 6 donne. Ma dalle "tracce" sui suoi cellulari le vittime potrebbero essere di più

Di Fazio e le ragazze come "oggetti senza dignità": perché gli hanno ridotto la pena
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Un unico “programma criminoso”, un unico scopo: compiere violenze sessuali nei confronti di ragazze rese incoscienti dalle benzodiazepine. E poi palpeggiate, fotografate, abusate. Solo sei di loro sono state identificate – scrivono i giudici di Milano nelle motivazioni pubblicate in anteprima da IlGiornale.it- le altre “sono rimaste ignote”. Non si sono fatte avanti, ma della loro esistenza ci sono “tracce, nelle numerose fotografie rinvenute nel suo cellulare”. Antonio Di Fazio, il manager della farmaceutica arrestato nel maggio 2021 dopo la denuncia di una studentessa della Bocconi, stordita e abusata, a Milano ha avuto una drastica riduzione della condanna in appello rispetto alla condanna di primo grado. È passato da 15 anni e mezzo di carcere (con rito abbreviato) a nove anni. Fondamentale è stato il riconoscimento del vincolo della continuazione, e cioè l'esistenza di un "sistema" criminale caratterizzato dallo stesso modus operandi e dalle medesime condotte nei confronti delle vittime.

"Le donne irretite dalle sue promesse"

Che è presto detto: le contattava sui siti internet, “sfruttando inizialmente la loro necessità di lavorare come ragazze immagine”, ma poi ben presto trasformava questi "rapporti lavorativi in fasulle relazioni d'amore, di fidanzamento, con progettualità anche procreative, mentre in realtà otteneva quel che desiderava (la disponibilità di "corpi" giovani per la sua soddisfazione sessuale)”. Loro d'altra parte cadevano nella sua rete: “per lo più giovanissime donne irretite dalle sue promesse, dai suoi contatti, dalla esibizione delle sue possibilità economiche (vere o fasulle che fossero)m dal suo patrimonio immobiliare, rassicurate dalla sua famiglia (madre, sorella, figlio) pronte ad accoglierle in un contesto apparentemente normale ma agiato e promettente".

Le prescrizioni e l'auto di grossa cilindrata

"La progettualità di sistema, di metodo, implicava poi la disponibilità dei mezzi", scrivono i giudici. Secondo i quali Di Fazio "si era ben corredato, con la verosimile ma non provata complicità della sorella medico, di prescrizioni" per "benzodiazepina rinvenuta in confezioni celate all'interno di una nicchia chiusa da uno sportello poco visibile nella cucina, ma pronte all'uso, insieme a siringhe contenenti neurolettici". Altri dettagli agghiaccianti: "Aveva pure divaricatori, pinze ginecologiche, vari telefoni cellulari; si avvaleva di un autista che guidava macchine importanti (Maserati Ghibli) al cui interno sono stati rinvenuti dispositivi lampeggiati a luce blu idonei ad atteggiarsi come personaggio di spicco ma anche temibile". Sul suo notebook sono state verificate numerose ricerche sul web a tema "ragazza addormentate/narcotizzate con il cloroformio".

Nei confronti dell'ex moglie condotte "prescritte o improcedibili"

Altri aspetti decisivi nella riduzione di pena, da un lato il risarcimento da 50mila euro nei confronti di una delle vittime (un "serio iniziale ristoro e un concreto segno di parziale resipiscenza", secondo i giudici), e ancora di più che le condotte in danno della ex moglie sono state “prescritte o improcedibili”. I maltrattamenti nei confronti della donna, assistita dall'avvocato Maria Teresa Zampogna, sono state riqualificati in stalking, un reato procedibile a querela. Per cui anche le violenze sessuali essendo tardiva la querela e non essendo connesse a reati procedibili d'ufficio sono prescritte.

"Le donne oggetti privi di dignità"

Per il resto la sentenza mette in luce il profilo del manager, che continua a considerare le sue vittime degli "oggetti privi di morale e dignità". Un assunto che viene dalla considerazione della sua difesa che si è basata in questi anni sull'obiettivo di "denigrare le sue vittime, a farle passare per ragazze disinvolte e pronte a vendersi, mentitrici, volontarie assuntrici di sostanze da sballo, assetate di profitti, occasioni di lavoro". Infine, nessun pentimento, anzi una situazione emotiva, una "contrizione", in cui "non c'è nulla di autentico" e che "risulta piuttosto scelta strategica per ottenere un più benevolo giudizio". La corte d'Appello ha poi riconosciuto che il figlio di Di Fazio, è stato “danneggiato” dallo stalking alla madre, “tuttavia non possibile la liquidazione dei danni perché il reato si è prescritto prima del giudizio di primo grado. Invero, come dedotto nell'appello proposto in favore della parte civile, e condiviso da questo Collegio, apparrebbe inverosimile che il bambino non abbia percepito la sofferenza della madre”.

L'avvocato: "La mia cliente vittima tre volte"

“La sentenza della Corte - le parole dell'avvocato Maria Teresa Zampogna a IlGiornale.it - ha sostanzialmente confermato la correttezza della qualificazione dei reati fatta dalla gip Chiara Valori nella sua ordinanza di custodia cautelare, mettendo in dubbio anche la derubricazione del tentato omicidio in lesioni, operata dalla sentenza di primo grado, che la Procura non ha impugnato.

La mia cliente è vittima 3 volte: oltre che dell’ex marito e dell’inspiegabile archiviazione del 2017, senza indagini e senza essere mai sentita, anche della sentenza di primo grado, che non le ha consentito di ottenere giustizia, pur avendo accertato tutti i fatti denunciati.”

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