La stanza di Feltri

La giustizia riparativa rispetti chi soffre

Caro Giacomo, i giudici applicano le leggi e la legge prevede che i detenuti possano usufruire dell'istituto della giustizia riparativa finalizzato alla rieducazione, che è lo scopo fondamentale della reclusione all'interno di un istituto di pena

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Direttore Feltri, so bene, visto che la seguo e la leggo da sempre, che lei non è un giustizialista, bensì un garantista. Per questo vorrei conoscere la sua opinione in merito alla decisione del tribunale di Busto Arsizio che ha accolto la richiesta di Davide Fontana di essere ammesso al percorso della giustizia riparativa. Cosa diavolo sia la giustizia riparativa lo ignoro, ma ho compreso che questo assassino, che ha ammazzato una ragazza, mamma di un bambino di pochi anni, cercando poi di disfarsi del corpo, potrà uscire fuori dal carcere. Le sembra giusto? Ma che mondo è questo? E cosa hanno in testa i giudici?

Giacomo Biondo

Caro Giacomo, i giudici applicano le leggi e la legge prevede appunto che i detenuti possano usufruire di questo istituto, quello della giustizia riparativa, introdotto con la riforma Cartabia, finalizzato alla rieducazione, che, così come stabilisce la nostra Costituzione, è lo scopo fondamentale della reclusione all'interno di un istituto di pena. Essa non mira a punire, piuttosto ad aiutare il reo a divenire consapevole della ferita che questi ha arrecato alla vittima e ai suoi familiari nonché alla società intera compiendo il crimine. La giustizia riparativa, applicata e concessa per la prima volta in Italia proprio in questo caso specifico, risponde a tale esigenza riabilitativa, favorendo l'incontro tra chi ha realizzato il delitto e chi lo ha patito, tra carnefice e martire, affinché il primo possa divenire consapevole del danno che ha prodotto e il secondo possa in qualche modo curare le ripercussioni derivanti da quello che ha patito. Lei ora obietterà: ma Carol Maltesi è morta e non potrà incontrare chi l'ha macellata. È vero, Carol, 26 anni, è stata massacrata dal bancario condannato in primo grado a trent'anni di galera per avere ucciso la giovane donna e non si è limitato a questo. Fontana, 44 anni, dopo averla sgozzata, ne ha tagliato a pezzi il corpo, decine di pezzi, ha nascosto nel congelatore le membra, ha tentato di bruciarle, per poi liberarsene gettando quello che restava di Carol in una discarica sita tra Bergamo e Brescia. Ma continuo. Fontana ha fatto anche altro: per mesi, usando il telefonino di Carol, ha depistato le ricerche della ragazza fingendosi lei, tentando di rassicurare così i familiari di lei e di mettere a tacere i giornalisti. Un vero film dell'orrore, un'operazione degna di un criminale abile, scaltro, spietato, lucido e terribilmente freddo, anzi gelido. Sì, Davide Fontana è un mostro. Chi può negarlo? Chi può assolverlo? Chi può perdonarlo? Nessuno. Eppure egli ha diritto, che ci piaccia o meno, di accedere a misure che sono previste dalla legge anche per coloro che si macchiano di questo genere di delitti. E questo è un fatto. Ma lei, Giacomo, mi chiede di più, mi domanda la mia opinione, da garantista quale sono. Bene. Eccola: io ritengo che tale scelta sia stata presa troppo prematuramente, considerato che Carol è stata assassinata poco più di un anno e mezzo fa, ossia nel gennaio del 2022, e che quest'uomo è dietro le sbarre da pochissimo, un lasso di tempo insufficiente perché si possa effettivamente essere reso conto di quello che ha fatto. Penso che un periodo di solitudine, anche di tedio, di disperazione, in gattabuia, faccia parte di un percorso di rieducazione, di riflessione, di maturazione, di presa di coscienza, di crescita. Con troppa fretta si è deciso di dare accesso a questo assassino a tale iter, che, sebbene non sia una via alternativa alla detenzione, consente al carcerato di godere di uno spazio di libertà e di socialità che altrimenti gli sarebbe stato precluso. Ma, soprattutto, chi ci dice che Davide Fontana non sia pericoloso? Di fatto egli ha dato prova di una totale assenza di empatia, di essere riuscito a progettare e a portare a compimento l'omicidio di una persona che non gli era neppure estranea, di essere interessato soltanto a tutelare se stesso, né questa donna né il figlio di lei, depistando le indagini e favorendo l'illusione che Carol fosse ancora in vita e si fosse allontanata volontariamente dal suo bambino. Reputo la decisione di affidare Fontana al meccanismo della giustizia riparativa affrettata non soltanto per lui ma anche per la società e i parenti di Carol, anche questi infatti non sono pronti a sapere libero, avvantaggiato, fuori dal carcere colui che ha portato loro via una mamma, una figlia, un'amica, smembrandola come se si trattasse di un pezzo di carne preso in macelleria e conservato in frigo prima di fare il barbecue. Nell'applicare le norme, i giudici dovrebbero valutare l'impatto che determinate decisioni hanno non soltanto sul ristretto ma anche e soprattutto sulle vittime collaterali. Pure loro esistono. Pure loro soffrono. Pure loro sono condannate. A vita. Si parla tanto di giustizia lenta.

In questo caso, forse è stata troppo veloce.

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