Cronaca internazionale

L'attacco di Hamas e l'effetto contagio in Asia: "Una bomba pronta a esplodere"

Se la crisi israeliana dovesse estendersi in Medio Oriente la Cina potrebbe esser costretta a cercare nuovi fornitori di petrolio oppure ad estrarre la preziosa risorsa dal Mar Cinese Meridionale

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Nei prossimi mesi nel Mar Cinese Meridionale potrebbero aumentare le scintille tra la Cina e gli Stati Uniti, ma anche tra Pechino e i Paesi presenti nella regione. Tutta colpa, per così dire, della crisi israeliana che ha generato un terremoto nell’intero Medio Oriente toccando, di fatto, anche Arabia Saudita e Iran. Ovvero: i principali fornitori di petrolio del Dragone. Da questo punto di vista, se la guerra tra Israele e Hamas dovesse estendersi a tutte le aree limitrofe il gigante asiatico sarebbe costretto, onde evitare di veder ridursi le entrate di olio nero, a rivolgersi ad altri fornitori oppure ad estrarre la preziosa risorsa dal citato Mar Cinese Meridionale. Allargando i suoi orizzonti in una porzione di mondo attraversata da molteplici rivendicazioni marittime e rivalità incrociate.

Dal Medio Oriente al Mar Cinese Meridionale

Partiamo da un dato emblematico: la Cina ha più che triplicato le sue importazioni di petrolio iraniano negli ultimi due anni, mentre lo scorso mese ha acquistato l'87% delle esportazioni di petrolio di Teheran. L’Iran, a sua volta, è ampiamente coinvolta nella crisi con Israele avendo – si dice – coordinato l’attacco a sorpresa di Hamas contro Tel Aviv e giocando di sponda con Hezbollah in Libano.

Non è da escludere, dunque, che il governo iraniano possa entrare a gamba tesa in una ipotetica guerra in Medio Oriente, con effetti a cascata sulle sue relazioni commerciali. Molto più cauta sembra essere l’Arabia Saudita, anche se pure Riad rischia di essere risucchiata dal dossier palestinese insieme ad altri campioni energetici locali, come Qatar ed Emirati Arabi.

Si dà il caso che la Cina sia quindi fortemente esposta all'attuale instabilità in Medio Oriente, soprattutto se le attuali tensioni dovessero sfociare in una guerra aperta. Pechino, che fino agli inizi degli anni ‘90, era autosufficiente sul fronte petrolifero, oggi dipende dalle importazioni per circa il 72% del suo fabbisogno di petrolio. Il Dragone non fornisce dati sulle sue riserve, ma si ritiene che siano considerevoli. La maggior parte degli esperti stima che queste possano equivalere a circa 90 giorni di importazioni.

Nuove opzioni

Escludendo il Medio Oriente, o comunque ridimensionando il suo apporto al fabbisogno petrolifero cinese, i riflettori di Pechino punterebbero su altre regioni. L’Africa, certo, ma molto più realisticamente il ricchissimo Mar Cinese Meridionale. Le nove linee tratteggiate su cui la Cina basa le sue rivendicazioni marittime si intrecciano con le zone economiche esclusive di Filippine, Vietnam, Brunei, Malesia e Taiwan.

Nessuno vuole regalare agli altri un solo miglio perché queste acque sono ricche di risorse naturali, tra cui quelle ittiche e gli idrocarburi. Secondo alcune stime il Mar Cinese Meridionale ospiterebbe circa 10miliardi di barili di petrolio, nonché 25mila miliardi di metri cubi di gas. Non è da escludere, insomma, che il Dragone possa diventare sempre più assertivo in acque già caldissime.

Gli analisti, che da tempo si preoccupano per queste manovre, sono concordi nel paragonare l'intera regione ad una "bomba pronta ad esplodere" da un momento all'altro.

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