Cronaca internazionale

Kosovo, sale la tensione per l'uccisione di un poliziotto. Trenta uomini armati barricati in un monastero

Il Kosovo appare pronto a riesplodere, dopo la "crisi delle targhe", a causa di un agguato di stampo paramilitare. Il premier Kurti e la presidente Osmani puntano il dito contro Belgrado

Kosovo, sale la tensione per l'uccisione di un poliziotto. Trenta uomini armati barricati in un monastero

Il Kosovo pronto a riesplodere:nel nord del Paese torna a salire la tensione dopo l'uccisione la notte sorsa di un poliziotto, vittima di uno scontro a fuoco con un gruppo di uomini armati e supportati da mezzi blindati. Quanto basta a mandare in fumo tutti gli sforzi negoziali e di mediazione, l'ultimo dei quali è stato l'ennesimo fallimento del nuovo faccia a faccia di dieci giorni fa tra il presidente serbo Aleksandar Vucic e il premier kosovaro Albin Kurti.

L'agguato in Kosovo

La sparatoria è avvenuta nella notte nel villaggio di Banjska, non lontano da Leposavic, uno dei quattro maggiori Comuni del nord a maggioranza serba: nello stesso agguato altri due agenti kosovari sono rimasti feriti. La pattuglia era intervenuta dopo una segnalazione su un blocco stradale operato da due camion su un ponte a Banjska. Sparatorie e scontri a fuoco sono continuati per molte ore nel corso della giornata, con 30 assalitori che si sono diretti verso un vicino monastero serbo-ortodosso, suscitando caos e paura fra i monaci e un gruppo di fedeli serbi in visita al monastero. Nell'edificio religioso si trovavano alcuni pellegrini provenienti dalla Serbia e un abate, secondo quanto ha fatto sapere la diocesi; all'arrivo degli uomini armati si sono chiusi all'interno del monastero. Le autorità kosovare non hanno diritto di intervenire all'interno di chiese e monasteri ortodossi senza l'autorizzazione della Chiesa. Secondo la polizia negli scontri sono rimasti uccisi tre aggressori, mentre uno di essi è stato arrestato. Catturate anche altre quattro persone trovate in possesso di apparecchiature per comunicazioni radio e ritenute in contatto con il gruppo di aggressori armati entrato in azione nel Nord. Non hanno trovato conferma le notizie diffuse in giornata secondo cui sarebbero stati otto gli aggressori uccisi.

Il blitz nel monastero

Unità speciali della polizia kosovara sono riuscite a entrate in serata nel monastero, ponendo fine all'azione del gruppo armato che per l'intera giornata ha ingaggiato sparatorie e scontri a fuoco con le forze dell'ordine locali. A riferirlo, il ministro dell'interno del Kosovo Xhekak Svecla, che ha confermato l'uccisione di tre aggressori e l'arresto di altri sei. I responsabili del monastero hanno confermato che in serata la situazione era andata via via migliorando. Resta poco chiara la sorte delle decine di aggressori protagonisti dell'attacco armato della notte e della giornata odierna contro la polizia.

Una cinquantina di persone, comprese decine di fedeli e pellegrini che si trovavano nel monastero, sono stati condotti a una stazione di polizia a Mitrovica sud, per effettuare controlli di sicurezza, compresi test per la paraffina. Il ministro ha aggiunto che una grande quantità di armi è stata trovata sul territorio del monastero e all'interno di diversi veicoli degli aggressori, nel corso delle operazioni condotte dalla polizia durante la giornata. Secondo Svecla, erano in corso preparativi per attacchi in massa contro le forze di polizia e le istituzioni kosovare. Si tratta, ha detto, di una formazione terroristica composta da vari gruppi criminali. Molti degli aggressori sono riusciti a scappare, e sono adesso ricercati. La procura del Kosovo ha fatto sapere che il caso verrà trattato come un atto di terrorismo e un attacco all'ordine costituzionale.

Il Kosovo conteso

Immediata la reazione di condanna della dirigenza di Pristina, con il premier Kurti e la presidente Vjosa Osmani che puntano il dito contro Belgrado, additando le azioni pianificate di bande criminali serbe attive nel nord del Kosovo con l'obiettivo di destabilizzare l'equilibrio del minuto Paese europeo. Kurti ha bollato "l'attacco terroristico" da parte di "professionisti del crimine, mascherati e pesantemente armati". "La criminalità organizzata, con il sostegno politico, finanziario e logistico dei responsabili ufficiali di Belgrado, attacca il nostro Paese", ha aggiunto Kurti. Analoga condanna da parte della presidente Osmani che ha parlato apertamente di "aggressione della Serbia nei confronti del Kosovo", sollecitando il sostegno degli alleati Nato e occidentali negli sforzi di Pristina per "imporre legge e ordine e preservare la sovranità in ogni parte del Kosovo". Secondo Kurti il gruppo di aggressori armati era formato da "almeno 30 uomini", ai quali è stato intimato di arrendersi. Non civili, ha precisato, ma dei professionisti con una forte connotazione paramilitare, se non proprio ex militari.

La disputa delle targhe in Kosovo

Le tensioni sono andate riacutizzandosi a seguito delle manifestazioni di protesta della locale popolazione serba la scorsa primavera contro i nuovi sindaci di etnia albanese nei maggiori Comuni serbi, e culminate con il ferimento a fine maggio di decine di militari della Kfor. L'agguato ha suscitato la ferma condanna ma sollevato anche i timori in tutte le principali ambasciate. Compresa quella italiana, così come hanno reagito le istanze internazionali presenti in Kosovo - Kfor, Eulex, Unmik, Osce. Kfor, la Forza Nato al cui comando vi è il generale italiano Angelo Michele Ristuccia, ha fatto sapere di "monitorare da vicino la situazione", con "truppe presenti nell'area, pronte a rispondere se necessario". Ferme condanne degli scontri sono giunte dai mediatori Ue Josep Borrell e Miroslav Lajcak, mentre il premier Kurti ha incontrato a Pristina gli ambasciatori del gruppo "Quint" che comprende Usa, Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia.

La guerra in Ucraina e la nuova escalation in Kosovo

Accanto alla recente crisi delle targhe, l’intricata vicenda del Kosovo era approdata al Consiglio d’Europa lo scorso 24 aprile, quando il comitato dei ministri del Consiglio hanno dato un primo assenso all’ingresso di Pristina all’interno dell’istituzione transeuropea con 33 voti a favore, 7 contro e 5 astensioni. Un alto riconoscimento al lavoro di Kurti che, lo scorso dicembre, aveva inoltrato la domanda per l’adesione della piccola nazione all’Unione. Astensioni e voti contrari si sono incrociati con la vicenda della guerra in Ucraina: tra i voti contrari quelli di Cipro, Spagna, Romania, Serbia ma soprattutto quello dell’Ungheria di Viktor Orban: pur riconoscendo il Kosovo, Budapest è alle prese con un avvicinamento di Orban con Vucic, tessuto pazientemente nel tempo.

Ad astenersi, invece, Grecia, Slovacchia, Moldavia, Bosnia ma soprattutto l’Ucraina (nonostante Kiev sostenga il Kosovo indipendente). Un risultato ancora più notevole se, come va ricordato, quattro Paesi Nato-Ue (Grecia, Romania, Slovacchia, Spagna) e uno non Nato come Cipro non riconoscono il Kosovo.

Una disunione che avalla l’asse serbo-russo nel voler proseguire a oltranza l'escalation nei Balcani.

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