Cronaca internazionale

Parla un agente segreto: "Vi racconto il mio lavoro da spia"

Il servizio segreto di sua maestà non sarebbe quello raccontato da James Bond, ma sarebbe addirittura più "affascinante". Parola di una spia dell'MI6 che rivela un particolare "importante" sull'arruolamento

Parla un agente segreto: "Vi racconto il mio lavoro da spia"

Essere una spia al servizio segreto di sua maestà è emozionante. Quasi più emozionante di quanto non ci abbiano raccontato i film di James Bond. Parola di un agente segreto dell'MI6, la sesta sezione dell'intelligence inglese che, raccontandosi ai media britannici, ha svelato un particolare importante, da analizzare con attenzione.

In una recente intervista rilasciata all'emittente britannica Bbc, l'agente a cui si riferiscono con il nominativo di Kwame - nome diffuso nell'Africa occidentale per chi è nato "di sabato" - ha raccontato come nel corso della sua carriera abbia visto "più di quanto si veda nei film di spionaggio". Questo ufficiale del Sis, Secret intelligence service, ha spiegato come il suo compito verta principalmente sulla raccolta di "informazioni all’estero" per migliorare la sicurezza del Regno Unito, riportando tra gli obiettivi principali del servizio di spionaggio (e quello del del controspionaggio, MI5) la lotta al terrorismo e alle attività di Stati ritenuti ostili, oltre all'impegno per rafforzare la sicurezza informatica che oggi rappresenta uno dei nuovi campi di scontro previsti dai conflitti ibridi, regolarmente "saggiati" dalle potenze avversarie. Ma c'è dell'altro.

"Black Spy"

L'emittente britannica ha dato ampia attenzione a quella che appare subito come una peculiarità riconducibile al nominativo dell'agente segreto, riferendosi in seguito a lui come “la prima spia nera" e ammettendo come le esternazioni dell'agente siano chiaramente "parte di una campagna per reclutare profili" provenienti da quelli che vengono riportati come contesti geografici "africani e asiatici".

Una conferma che dimostrerebbe - sotto traccia ma neanche troppo - come l'infiltrazione di spie con caratteristiche somatiche diverse da quelle che un tempo classificavamo come "europoidi", e dunque congrue a quelle della maggioranza etnica di una data parte del globo, sia una necessità in primo luogo strategica oltre che inclusiva. Lo scopo della campagna di reclutamento sarebbe quello di "far capire alla gente che chiunque può lavorare per l'MI6", quale che sia la sua etnia o il background. Facendo riferimento a ciò che veniva citato anche nel lungo pensiero condiviso dal direttore dell' agenzia di spionaggio degli Stati Uniti, il capo della Cia William Burns che si è soffermato su come sia aperta la ricerca ad agenti che conoscono il Mandarino. Lingua sinitica ufficiale (dunque più diffusa e parlata) nella Repubblica popolare cinese. Oltre che a Taiwan, in Malesia e a Singapore.

Il Regno Unito deve "rendersi conto della minaccia cinese" aveva affermato recentemente l’ex vertice dell’MI6 Sir Alex Younger. E ciò trova conferma anche nelle parole della "first black spy" intervistata dalla Bbc che ha contestualmente sottolineato di nutrire un timore per la visione stereotipata dell'agente segreto britannico diffusa dal mito di James Bond. "Temo che questo faccia pensare che tutti quelli che lavorano qui siano un maschio bianco, della classe media, che guida un'Aston Martin, a cui piacciono le donne e tutto il resto. Ma non è vero" ha affermato Kwame. Concedendo l'input per un'interessante riflessione sull'inclusività e i rumors collegati alla saga stessa: un trend che sta funestando da anni i film che hanno come protagonista l'agente segreto 007, portando a forzature stilistiche per l'attualizzazione del prodotto.

Competenza, provenienza, finzione

Un collega dell'agente Kwame, riportato come direttore dei rapporti d'intelligence dell'MI6 a "livello globale", originario di un'area non meglio specificata dell'Asia meridionale, ha confermato come il servizio segreto inglese non stia cercando e non voglia "solo laureati di Oxbridge, ma persone con le giuste competenze"; e queste competenze o provenienze, più che alla saga di Bond rimandano il pensiero al protagonista del primo Kingsman diretto da Matthew Vaughn, tratto dal fumetto The Secret Service di Mark Millar e Dave Gibbons.

Ai vertici del Sis sembrano essere stancati del concetto "James Bond come sinonimo di MI6" dal momento che negli ultimi anni questa associazione incondizionata ha creato "i suoi problemi" a livello interno e nelle fasi di arruolamento. L'agente Kwame non ha perso occasione per ricordate come ad esempio il capo della sezione addetta alla tecnologia dell'agenzia, l'adorabile Q interpretato nella finzione da Desmond Llewelyn, sia una donna, come lo è stata nella finzione il vertice del servizio, M, interpretato per anni dall'attrice britannica Judith Dench. Va ricordato, per i meno appassionati di spionaggio, come i capi servizio segreto inglese firmassero i documenti ufficiali con la loro iniziale - con una penna a inchiostro verde per tradizione - o come ci si riferissi a loro con la sola iniziale. Il fondatore e direttore dell'MI5, Vernon Kell, era convenzionalmente noto con l'iniziale del cognome, ovvero la K. A tale riguardo la Bcc ha ricordato come a parte i capi delle sezioni del servizio segreto - Sir Richard Moore per l'MI6, e Ken McCallum per l'MI5 - l'identità della maggior parte degli ufficiali dei servizi segreti britannici sia protetta dall'anonimato.

La questione dell'arruolamento di nuovi profili e l'abbandono delle "vecchie" icone non può non proiettare il lettore verso una riflessione conclusiva affascinante e molto al passo con i tempi: fin dagli albori del suo impiego lo spionaggio è sempre stato basato sulla capacità di "infiltrare" una agente nel campo avversario senza che esso potesse essere notato, o avendolo preventivamente fornito di una copertura tanto solida da non destare sospetto mentre compiva la sua "missione". Questo schema non è cambiato evidentemente. Ad essere cambiati sono i contesti, e con esse la percezione che si deve avere del servizio segreto o d'intelligence, come più comunemente viene chiamato.

Le agenzie di spionaggio stanno perciò rivedendo le loro linee guida nel campo del reclutamento e possiamo scommettere stiano anche lavorando nell'mmorbidire le idee legato allo stereotipo che è stato "affibbiato" per mezzo secolo alle spie inglesi, che ora guardano a nuovi o vecchi teatri operativi ben diversi dallo Yemen degli anni Trenta dove venne inviato come osservatore particolare il reporter Norman Lewis.

Oggi un profilo simile, e una copertura simile, nella realtà non reggerebbero.

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