Cronaca internazionale

"Deve essere arrestato". Cala la mannaia su Assad

La procura francese ha spiccato un mandato d'arresto per il presidente siriano. L'accusa ha a che fare con gli attacchi chimici avvenuti nella regione della Ghouta nel 2013

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I fatti si riferiscono all'estate del 2013, quella dove lo scontro tra Stati Uniti e Siria ha rischiato di essere frontale dopo le notizie dei presunti attacchi chimici nella regione della Ghouta, a est di Damasco. Il contesto è quello della guerra civile siriana, in quel momento ferocemente combattuta tra le forze regolari agli ordini del presidente Bashar Al Assad e i gruppi ribelli e islamisti. Proprio quegli attacchi chimici oggi tornano a essere di stretta attualità: per quanto accaduto dieci anni fa, la procura francese ha spiccato un mandato d'arresto per il capo dello Stato siriano.

L'inchiesta transalpina contro Assad

Secondo i giudici francesi non ci sono dubbi: i bombardamenti attuati con armi chimiche nella Ghouta sono stati opera di Assad. Per questo il presidente siriano deve risponderne davanti alla giustizia. Quei raid sono avvenuti nell'ambito della battaglia per il controllo della regione a est di Damasco. In particolare, i ribelli avevano preso da alcuni mesi città importanti come Douma, a ridosso della periferia della capitale della Siria.

I bombardamenti con armi non convenzionali registrati in quest'area del paese e denunciati dai gruppi ribelli, non hanno inciso sulle dinamiche della battaglia. Ma hanno provocato un numero imprecisato di vittime, causando peraltro un forte sdegno internazionale. Barack Obama, allora presidente Usa, ha minacciato un intervento armato contro Assad come reazione al bombardamento chimico. Tuttavia il presidente siriano ha sempre negato le accuse. A suo supporto, Assad ha evidenziato come in quella fase il suo esercito stava avanzando e non era necessario attuare un raid di così vasta portata con il rischio di causare reazioni internazionali. Inoltre, il presidente siriano ha a sua volta accusato gli attori internazionali di voler destabilizzare la Siria.

Dieci anni fa la crisi è rientrata con la mediazione della Russia, in quella fase non ancora direttamente impegnata a favore di Assad. Il compromesso ha portato allo smantellamento dell'arsenale chimico nelle mani di Damasco. Ma molte Ong hanno continuato a fare pressione per spingere la comunità internazionale, a dispetto della versione siriana, a fare chiarezza. Si è così arrivati all'indagine francese, culminata con il mandato di arresto per Assad.

Oltre che il presidente siriano, nell'inchiesta risultano coinvolti Maher al-Assad, leader della 4a divisione corazzata, il generale Ghassan Abbas, direttore della sezione 450 del Centro siriano di studi e ricerche scientifiche (SSRC) e il generale Bassam al-Hassan, consigliere presidenziale per gli affari strategici. Secondo i giudici della procura transalpina, sono loro i veri responsabili della strage della Ghouta causata dai raid chimici. Una conclusione a cui gli inquirenti francesi sono arrivati dopo anni di inchiesta tramite le prove portate da alcune organizzazioni internazionali.

Perché la richiesta arriva dalla Francia

Se il mandato di cattura è stato spiccato da Parigi, la motivazione è data dal fatto che alcune denunce sono state depositate proprio alla procura francese. In particolare, è stato il Centro siriano per i media e la libertà di espressione (Scm) ad avanzare le accuse dinnanzi la giustizia francese, supportato dall'Archivio siriano e dalla Open Society Justice Initiative.

La procura transalpina ha potuto agire in virtù del principio della giurisdizione extraterritoriale per indagare e perseguire i crimini di atrocità internazionali commessi su territorio straniero in determinate circostanze. Altre inchieste sui fatti della Ghouta, per lo stesso motivo, sono in corso anche in Germania e in Svezia. Si tratta della prima volta che un capo di Stato in carica venga raggiunto da un mandato di arresto da un altro Stato.

Il precedente riguardante l'ex presidente sudanese Omar Al Bashir infatti, ha a che fare con un mandato spiccato da un tribunale internazionale.

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