Cronaca locale

Il Comune di Napoli dovrà vendere i propri gioielli: ecco perché e quali sono

Previste anche le privatizzazioni di alcuni castelli. L’obbligo segue la firma del "Patto per Napoli". Da giugno partiranno i primi controlli

Il Comune di Napoli dovrà vendere i propri gioielli: ecco perché e quali sono

Era il marzo del 2022 quando l’allora premier Mario Draghi e il sindaco Gaetano Manfredi firmarono il "Patto per Napoli". Un accordo importante perché ha permesso al Comune di Napoli di evitare il fallimento, ma concluso non a titolo gratuito. Perché Palazzo San Giacomo ora deve rispettare gli impegni presi. Impegni che non sono cosa di poco conto.

Il Comune, come racconta FanPage, dovrà vendere alcuni tesori di famiglia, palazzi storici, il patrimonio non pregiato e, non per ultimo, privatizzare i castelli come Castel dell'Ovo e Maschio Angioino. Alcune di queste strutture sono siti conosciuti in tutto il mondo e luoghi che riescono ad attrarre molti turisti. L’operazione dovrà essere eseguita entro i prossimi decenni ma prevede scadenze semestrali. E così Palazzo San Giacomo si appresta a ricevere a giugno 2023 i primi controlli della Corte dei Conti e del ministero delle Finanze sul rispetto degli accordi.

"Il Patto per Napoli è una formula molto simile a quella che fu usata dalla Commissione Europea per la Grecia di Tspiras", ha spiegato a FanPage Alberto Lucarelli, docente di diritto costituzionale all'Università Federico II che in passato ha avuto una breve esperienza in qualità di assessore ai Beni comuni nella prima giunta De Magistris. "I soldi - ha continuato - erano quelli della legge finanziaria del 2022 ma legati poi ad un contratto di diritto privato dove il contraente, lo Stato, ha dettato tutte le condizioni al Comune di Napoli. Si tratta principalmente della valorizzazione del patrimonio immobiliare, ma si scrive valorizzazione e si legge alienazione, vendita, svendita del patrimonio pubblico".

Sono tante le strutture che, in base agli accordi, devono essere vendute entro quest’anno: la Galleria Principe di Napoli, Palazzo Cavalcanti, l’ex Villa Cava a Marechiaro, il complesso del Carminiello e l'ex deposito Anm di Posillipo. Stessa sorte dovrà toccare alle caserme della polizia di Stato in via Medina e quella della Guardia di Finanza in via Quaranta.

La vendita di tali strutture è necessaria per il rispetto degli accordi ma inevitabilmente, evidenzia ancora il giurista, renderà Napoli "più povera". E di questo ne risentiranno anche i cittadini: "L'essenza del patrimonio pubblico è quella del godimento per tutti, che è un diritto. Questo vale per i beni di pregio ma anche per i beni non di pregio, ad esempio con la vendita di centinaia di case anche il diritto alla casa sarà messo in discussione", ha affermato ancora Lucarelli.

Oltre alla vendita di beni a interesse culturale, da fare nel più breve tempo possibile, vi è anche il fronte delle privatizzazioni. L'idea del Comune per mettere a rendita i monumenti, racconta ancora Fanpage, è quella di siglare accordi con i privati. Come? Ancora non si sa. Sul tavolo ci sarebbero due piani ma di certezze al momento ve ne sono poche.

Marina Minniti, dell'associazione "Mi Riconosci?", parlando con FanPage ha ipotizzato che Castel dell’Ovo sarà affidato ai privati "per la guardiania, le visite guidate e la manutenzione" e non sarà più previsto l’accesso gratuito. Per il Maschio Angioino si prevede un aumento del biglietto. In realtà, ha spiegato ancora la Minniti, affidare ai privati alcuni monumenti è una strada che si sta già percorrendo. Un esempio è rappresentato dal Cimitero delle Fontanelle, "struttura del 1600 che è sempre stata gratuita, adesso con un bando del Comune dopo un periodo di lunghissima chiusura dall'inizio della pandemia da Covid 19, sarà affidata direttamente ai privati".

Problema risolto? Non proprio. Perché ci sono alcuni aspetti su cui ragionare. La possibilità di creare una fondazione di diritto privato che veda in società il Comune ed i privati comporterebbe dei rischi. Tra questo figura l'irreversibilità del processo. "L'utilizzo di questo strumento è molto criticato in Italia perché al momento non è ancora chiaro come si possa poi tornare indietro", ha affermato Minniti. Quest’ultima, per fare un esempio concreto, ha citato il caso del Museo Egizio di Torino, trasformato da museo pubblico a fondazione di diritto privato.

E su questo punto interviene ancora Lucarelli: "Cosa resta ad un Comune se vende il suo patrimonio? Se vende i suoi monumenti? Se vende i servizi pubblici? Non resta niente, è una privatizzazione di fatto del Comune. E questo processo condizionerà le prossime amministrazioni comunali per i prossimi 50 anni, al di là del colore politico. Al Comune non resta che il ruolo di mero supervisore ma di una governance che è tutta nelle mani dei privati".

Dagli accordi non sarebbero risparmiati i servizi pubblici. Le società attualmente comunali che, ad esempio, gestiscono trasporti, strade, rifiuti potrebbero essere messe sul mercato al fine di recuperare un po’ di soldi.

Si sarebbe potuto evitare tutto questo? "Il tema è quello di non aver affrontato la ristrutturazione del debito del Comune di Napoli la maggior parte del debito del Comune di Napoli è presso Cassa depositi e prestiti che è di proprietà dello Stato, ed esiste una norma del 2019 che prevede la possibilità dello Stato di accollarsi parte del debito degli enti locali", ha affermato Lucarelli. Quest’ultimo ha, infine, evidenziato che "bisognava analizzare voce per voce il debito del Comune di Napoli, invece si è stabilito, senza discuterne, che il debito era tutto giusto. È da questa condizione di base che si è partiti per fare il Patto per Napoli".

Giugno è vicino. Prevedibile che sarà un periodo caldo. E non tanto da un punto di vista meteorologico.

Il Comune dovrà dimostrare di aver compiuto già qualche passo per il rispetto degli accordi.

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