Cronache

Afghanistan andata e ritorno: le confessioni di un paracadutista della Folgore

Andare in missione per difendere la pace e l'Occidente, socializzare con la popolazione e aiutarla. Il ruolo del 186esimo reggimento negli scenari internazionali

Afghanistan andata e ritorno: le confessioni di un paracadutista della Folgore

Peace keeping: mantenimento della pace. Sono queste le missioni alle quali partecipano i soldati italiani. Operazioni difficili perché, nonostante i nostri soldati siano lì per mantenere la pace, tutto attorno è guerra. C’è però chi ha fatto delle missioni la propria vocazione. Lo abbiamo incontrato. È il caporal maggiore capo Luca Rendina.

Hai partecipato a moltissime missioni. Dove sei stato? E perché hai deciso di partire?

Sì, è vero: ho partecipato a tante missioni all’estero, tutte effettuate con il mio reggimento, il 186esimo reggimento paracadutisti Folgore. Precisamente, sono stato in Bosnia, in Albania, due volte in Kosovo e quattro volte in Afghanistan.

"Il vero coraggio non consiste nel non aver paura, ma nel superarla. Solo gli incoscienti non la provano e sono fra i peggiori combattenti. Ha del fegato colui che sente le sue fibre più intime vibrare dolorosamente sotto il bombardamento, la pelle che gli si contrae d'istinto al graffio fonico d'una pallottola che sibila, un diavolino che dal retrobottega della coscienza gli mormora "chi te lo fa fare"; ed egli di questo tormento nulla mostra all'esterno. Stringe i denti, dice "sissignore" e fa quel che ha da fare, sino alla fine". Così scriveva Alberto Bechi Luserna a El Alamein. Hai mai avuto paura? Come sei riuscito a vincerla?

Sono un paracadutista della Folgore. È da incoscienti non provare la paura, perché la si vive già nel lancio, in quanto non lo si fa tutti i giorni. Il punto è: come si vince la paura? Innanzitutto con l’addestramento, con la concentrazione nello svolgere un’attività. Nelle missioni, a volte, si può provare paura, come nell’attività che abbiamo vissuto questa notte. Un’imboscata e si diffonde la paura. L’addestramento è tutto. Mantiene il sangue freddo e ti permette di ragionare.

Durante il periodo di missione, come sono visti i soldati italiani dalle popolazioni del luogo? Ricordi qualche momento particolare?

I militari italiani nell’impegno all’estero sono visti sempre abbastanza bene perché hanno un approccio socievole e amichevole. Come esperienza personale, posso notare che all’inizio di una missione la popolazione è diffidente, ma durante i mesi e i giorni in cui la popolazione entra a contatto con noi, ecco che acquisisce sempre più fiducia in noi perché capisce che siamo lì per aiutarli e supportarli.

Così capita che durante i primi giorni la gente ti schiva, ma alla fine, dopo che sono passati un po’ di giorni o in alcuni casi mesi, ecco che arrivano i bambini, che vengono a salutarci e a darci la mano.

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