I bambini di Bibbiano

Gli assistenti sociali crollano: ecco le bugie per strappare i bimbi alle famiglie

Continuano gli interrogatori del tribunale di Reggio Emilia per gli indagati nell’inchiesta "Angeli e Demoni"

Gli assistenti sociali crollano: ecco le bugie per strappare i bimbi alle famiglie

Nuovi e raccapriccianti particolari vengono a galla nell’inchiesta "Angeli e Demoni". Proseguono infatti gli interrogatori del tribunale di Reggio Emilia, facendo emergere dettagli inquietanti. Dettagli che danno forma alla "storia degli orrori".

"Io non sono mai stata in quella casa". Risponde così - davanti ai magistrati - una delle assistenti sociali dell’Unione Val D’enza indagata nell’inchiesta della Procura, quando in tribunale le viene chiesto se avesse mai veramente controllato le condizioni dell’abitazione in cui viveva una di quelle piccole vittime strappate ai propri genitori naturali. A rivelarlo sono le parole, scritte nero su bianco, in un verbale d’interrogatorio riportato in un tweet dall'account ufficiale della trasmissione Chi l’ha visto?, in onda su Rai3.

Nella relazione stilata dall’assistente sociale - come riportato dalle carte visionate da ilGiornale.it - la descrizione di una casa fatiscente e inadeguata, priva del necessario per la crescita di un bambino. Ma l’operatrice, in quella casa, non ci aveva mai messo piede. Mai. Non aveva nemmeno controllato se effettivamente i genitori - Massimo e Gilda Camparini - fossero o meno in grado di accudire la propria figlia.

Nelle carte degli assistenti sociali si legge: "La casa appare spoglia e le operatrici non hanno visualizzato giocattoli". Peccato che in quella casa nessuno ci fosse in realtà mai entrato. E così venivano redatti verbali pieni di menzogne e falsità, come hanno testimoniato le successive verifiche dei carabinieri. Infatti, "in un sopralluogo di pochi mesi successivi, i militari rilevavano nel domicilio una condizione positiva e assolutamente diversa da quella riscontrata e descritta nella relazione del servizio sociale".

Una casa come tutte le altre, quella della famiglia Camparini. Almeno per i carabinieri che hanno fatto emergere la verità dei fatti. Una casa colma di giocattoli, videogiochi di ultima generazione e, persino, con un piccolo calcio balilla. E ancora, fotografie dove era ritratto il piccolo nei suoi primi anni di vita insieme ai suoi genitori e ai nonni. Quei nonni contro i quali i servizi sociali avevano più volte puntato contro il dito.

Il copione sembra ripetersi. La strategia sembra essere sempre più chiara. Si puntava sulle condizioni presunte pessime condizioni della casa, sulla precaria salute dei bambini e, altre volte, perfino sui litigi familiari, su abusi e violenze mai commesse. Così come è accaduto a Michele che, in un’intervista esclusiva a noi rilasciata, aveva raccontato i dettagli delle false relazioni stilate dai servizi sociali con il solo obiettivo di portare via i suoi due bambini.

Un sistema pensato nei dettagli. Una strategia perversa che, per anni, ha permesso agli artefici dei fatti di lucrare sulla pelle dei bambini.

Il tutto per soldi e ideologia.

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