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"Arriva l'Isis". E l'Italia aspetta l'Onu

Il premier libico dà l'allarme, ma non possiamo agire senza un piano. Così ci affidiamo alle mosse di Hollande

Un corteo di uomini dello Stato islamico nella Cirenaica
Un corteo di uomini dello Stato islamico nella Cirenaica

Renzi tira il freno a mano, ma il premier libico Abdullah Al Thinni ci sprona ad andare avanti. «Al Qaida e l'Isis sono già a Tripoli... chiediamo alle potenze internazionali di dare il via ad operazione militari... altrimenti la minaccia - dichiara - si estenderà ai paesi europei e in particolare all'Italia». Ovviamente Al Thinni ha tutto l'interesse a far leva sulle nostre paure. E a dargli una mano contribuiscono sia l'attacco terroristico di Copenaghen, sia l'inquietudine per l'episodio di ieri quando, per la prima volta, due scafisti hanno aperto il fuoco su una motovedetta della Guardia costiera.

Premier di un esecutivo riconosciuto dalla comunità internazionale, ma costretto all'esilio a Tobruk dopo la caduta di Tripoli in mani islamiste, al Thinni vede nell'intervento internazionale la molla capace di restituirgli l'intera Libia. Ma tra l'evocare un intervento e realizzarlo ce ne passa. Anche perché l'Italia pur disponendo dei 5000 militari enumerati dal nostro ministro della Difesa Roberta Pinotti deve prima capire dove schierarli, come utilizzarli e a fianco di quali alleati. Dunque pur dando per scontato che prima o dopo dovremo veramente «combattere» - come suggeriva il ministro degli Esteri Gentiloni - bisogna prima capire come e dove farlo. Anche perché diversamente quei soldati non basterebbero neppure a controllare un quartiere di Tripoli. La marcia indietro di Renzi, tornato ad evocare l'Onu e l'iniziativa diplomatica del suo inviato Bernardino Leon, è dovuta proprio a questo.

Arrivato, seppur in ritardo, a comprendere la necessità di dar prima corpo ad un'iniziativa politico-diplomatica propedeutica all'intervento Renzi sa che la decisione del presidente francese François Hollande di portare la crisi libica al Consiglio di sicurezza già domani è indispensabile per mettere a punto una risoluzione Onu, definire gli obbiettivi dell'intervento e costruire una coalizione. Il lavoro al Palazzo di Vetro è fondamentale anche per comprendere l'attitudine degli Stati Uniti. Già riluttante ad agire in Iraq e Siria Obama scaricherebbe volentieri sull'Europa l'intervento in una Libia tutt'altro che vitale per i suoi interessi. Un voto del Consiglio di sicurezza l'obbligherà invece ad un'adesione almeno formale. Dal nostro punto di vista questi passaggi servono anche per comprendere gli obbiettivi di Parigi e Londra impegnati da tempo a studiare forme d'intervento potenzialmente in contrasto con gli interessi italiani. Senza tralasciare la necessità di comprendere i giochi di una Turchia che - pur appoggiando le milizie islamiste di Tripoli e garantendo a casa propria libero transito ai reduci dell'Isis - potrebbe paradossalmente diventar parte di una coalizione Nato. Ma all'Onu si chiarirà anche il ruolo di Egitto ed Algeria, attori di primo piano nella lotta allo Stato islamico. Nel frattempo il gioco diplomatico di Leon servirà ad individuare possibili alleati sul terreno. Il governo di Al Thinni ci garantisce solo il sostegno della parte dell'esercito guidata dal generale Khalifa Haftar e dalle milizie di Zintan. Ma la città di Misurata minacciata anch'essa dall'Isis potrebbe, nonostante la matrice islamista dei suoi leader, rivelarsi un alleato prezioso in grado garantirci il sostegno delle milizie meglio armate del paese.

L'azione politico-diplomatica propedeutica all'intervento non può però prolungarsi a tempo indeterminato. Le analisi d'intelligence sottolineano come la grande capacità propagandistica dell'Isis, esibita anche nei nostri confronti, lo renda capace di aggregare intorno a sé altre milizie islamiste. Raffigurando il nostro ministro degli Esteri Gentiloni come un «ministro crociato» ed evocando lo scenario di un'Italia capofila di un'invasione occidentale l'Isis puntava a presentarsi, al pari del defunto Gheddafi, come la spada della Libia e moltiplicare così consensi e combattenti. Per questo secondo le stesse analisi d'intelligence l'intervento non può venir rinviato oltre la fine della primavera.

Perché oltre quel limite i nostri soldati e quelli alleati rischiano di ritrovarsi davanti un nemico troppo grande per esser sconfitto.

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