Economia

Assemblea Abi, il problema sono i banchieri non le banche

La mancanza di fiducia verso i banchieri è una corrente sotterranea nella società italiana che rischia di trasformarsi in una piena impetuosa

Assemblea Abi, il problema sono i banchieri non le banche

Provate a farci caso, ma, in questi giorni, i «big» inglesi ed italiani della politica e della finanza cercano di addossarsi, gli uni con gli altri, le maggiori responsabilità per l'attuale situazione economica dell'Europa. Hanno cominciato i giornali britannici puntando il dito sulla nostra crisi bancaria. Dal Financial Times in giù, molti gli articoli, anche in prima pagina, che hanno messo in risalto, nelle ultime settimane, i tanti segni di debolezza provenienti dalla penisola. Ad essere maliziosi, sembra quasi che gli analisti finanziari di Londra abbiano voluto spostare su di noi il baricentro dell'allarme europeo per poter, così, dirottare la tensione internazionale da Brexit e dalla frittata che i sudditi di Sua Maestà hanno fatto con il referendum di giugno. E, quasi a ributtare la pallina oltre la rete, all'assemblea dell'Abi di ieri, il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ha insistito molto sulle ripercussioni per il nostro Paese di Brexit gettando, invece, acqua sul fuoco della gravità della nostra emergenza.

Riascoltando le parole del governatore, verrebbe quasi da dire che la situazione è grave, ma non seria. Se non ci fossero, poi, le colpe dell'Europa, a cominciare dal bail in, tutto sarebbe, addirittura, sotto controllo. La verità è un'altra: gli scenari sono davvero cambiati. Se nelle ultime estati avevamo puntato i riflettori sulla Grecia, ad un passo dal fallimento, perché eravamo preoccupati dell'effetto-volano, oggi Atene, cioè l'epicentro del terremoto, ce l'abbiamo praticamente in casa. Per mesi, come dimostrano le parole di ieri di Visco, governo e banchieri hanno continuato a sottovalutare l'emergenza, ritenendola circoscritta a quegli istituti di credito che avevano alzato subito bandiera bianca: tra il fondo Atlante e gli altri interventi in cantiere, Roma e Bruxelles pensavano di aver superato «a' nuttata» senza troppi problemi. Non ci hanno detto la verità e continuano a non dircela: non c'è solo il Monte Paschi ad essere con l'acqua alla gola.

Ma c'è un altro aspetto della crisi bancaria da affrontare: non contenti di avere contribuito alla rovina di tanti risparmiatori, perché i guardiani di via Nazionale hanno continuato a non controllare? Che ci stavano a fare? In questi mesi abbiamo registrato il grande attivismo del nocchiero della Bce, Draghi, che ha fatto da contraltare a un Visco troppo prudente e sempre pronto a sdrammatizzare. Qualcuno potrebbe anche parlare di silenzio-assenso di Palazzo Koch, ma, al di là delle varie interpretazioni, queste latitanze sono la conferma del declino del nostro istituto centrale. Ho ben presente quando, da giovane giornalista economico del Giornale, venivo mandato alla messa cantata del 31 maggio, l'assemblea annuale della Banca d'Italia. Ricordo ancora l'impressione entrando nel sancta sanctorum della finanza italiana ad ascoltare le relazioni di banchieri centrali come Guido Carli, grande erede di un padre della Patria di nome Luigi Einaudi. Oggi, di personaggi di quella caratura, Draghi a parte, non ne abbiamo proprio più. Altri tempi, altra classe.

È vero, come scrive Nicola Porro, che non possiamo sparare ad alzo zero contro gli istituti di credito perché faremmo del male soprattutto a noi stessi e ai nostri risparmi e che siamo costretti a sostenerli ad oltranza. Ma la mancanza di fiducia verso i banchieri è una corrente sotterranea nella società italiana che rischia di trasformarsi in una piena impetuosa.

Altro che Brexit.

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