Economia

Le Borse al palo, il governo in croce

Pechino crolla, i mercati soffrono e Milano perde ancora. Il premier comincia a tremare

Le Borse al palo, il governo in croce

Le Borse sono cadute, non per un fatto momentaneo, ma perché lo scenario mondiale è cambiato in peggio. La Banca mondiale ha ribassato di 0,4 punti il tasso di crescita del Pil mondiale del 2016 dal 3,3 al 2,9. Ma a Roma, a palazzo Chigi e dintorni non se ne sono accorti. Renzi (...)(...) e i suoi celebrano la disoccupazione «scesa all'11,3%» Ma c'è poco da celebrare, è un tasso tre volte maggiore di quello tedesco e doppio di quello dell'epoca berlusconiana del 2006. Il 2016 è più difficile del previsto: se quel taglio di 0,4 punti si applica anche a noi, la crescita del nostro Pil sarà lo 1,1% non l'1,5.

Ma loro discutono di come far passare la legge sulle unioni civili, con i voti dei 5 Stelle e su come placare i creditori di Banca Etruria, mediante i contentini arbitrali cui sovrintende il commissario Cantone, che - a sua volta - sollecita «un decreto attuativo». A Palazzo Chigi e al Pd e dintorni si compiacciono del Jobs Act (detto in inglese, il contratto col posto fisso, il «Quo vado?» di Zalone, suona meglio). Non vedono che le Borse sono cadute, in Europa, perché quelle cinesi sono state chiuse un'altra volta per eccesso di ribasso, nonostante le iniezioni di liquidità decise da Pechino. L'economia cinese rallenta la sua crescita e le autorità cinesi non riescono a raddrizzare la rotta. La Borsa di Francoforte è quella che accusa il maggiore ribasso, perché - dopo l'enorme richiesta di indennizzi che si sta materializzando negli Usa contro Volkswagen (là, nella patria del capitalismo ruggente, chi imbroglia paga) - ora c'è il problema dei mercati di Cina e dintorni in cui i tedeschi si sono specializzati.

Non era mai successo che il petrolio scendesse sotto i 35 dollari il barile (pari al 17 dollari del 1980) mentre i terroristi si avvicinano ai pozzi petroliferi della Libia e si combatte per il possesso di quelli in Irak. Non c'è solo la rottura del Cartello del petrolio, dovuta al conflitto di potere fra Arabia Saudita e Iran. È in atto una flessione mondiale strutturale e non solo congiunturale dei prezzi delle materie prime, che le riguarda tutte, compreso l'oro che, col terrorismo, dovrebbe salire. Washington ora riflette sul rischio di deflazione e quindi sull'opportunità di tornare al Qe, al quantitative easing, alla politica di acquisto di obbligazioni da parte della Federal reserve. Ciò sia per mettere in circolo denaro liquido, sia per ridurre il peso dei debiti per il governo e per l'economia. Quando l'inflazione è quasi zero, come ora, i creditori sono contenti, perché hanno emesso i loro crediti quando si calcolava l'inflazione al 2% e ricevono interessi che valgono più di quanto pattuito.

Ma i debitori soffrono perché pagano interessi maggiori di quelli pattuiti, in quanto li versano in moneta più buona di quella prevista. Così in Borsa a Milano sono andati peggio della media i titoli bancari, oltre ai petroliferi. Per il petrolio, ciò è ovvio: se il prezzo scende, le compagnie che posseggono riserve di greggio ci perdono e ci perdono anche quelle che hanno comprato petrolio e gas con contratti a medio e lungo termine a prezzo fisso, basato sui vecchi prezzi. Per le banche salgono i rischi, in primis perché la clientela, che s'è indebitata ai vecchi tassi potrebbe fare più fatica a pagarli. Le sofferenze bancarie, in un mondo in cui i debitori stanno peggio, tendono ad aumentare. Inoltre le banche stesse, per finanziarsi, hanno emesso obbligazioni che ora risultano più onerose, dati i bassi margini di profitto dell'attività bancaria, in regime di bassi tassi. Ormai il creare una bad bank per alleggerire le banche di 200 miliardi di crediti incagliati è urgente. Sarebbe anche urgente una legge che liberalizzasse i contratti orientati alla produttività, perché il contratto del Jobs act, quello del posto fisso, il problema della produttività del lavoro non lo ha né risolto, né intaccato granché. E la produttività del lavoro in Italia fra il 2002 e il 2014 è scesa dal 116% della media dei 27 Paesi dell'Unione europea al 102%! È necessario fronteggiare lo scenario cambiato con riforme vere. Ma non pare che a Palazzo Chigi e dintorni, se ne siano accorti. Loro fanno altre battaglie.

Vengono in mente i versetti dell'Orlando innamorato del Berni che riguardano «il cavalier che, del colpo non accorto, andava combattendo, ma era morto». Francesco Forte

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