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Conte, mini Andreotti che pesca a destra

Conte, mini Andreotti che  pesca a destra

Martedì sera al ristorante Clemente, a piazza della Maddalena, a metà strada tra il Senato e la Camera dei Deputati, Gianfranco Rotondi, dc prestato a Forza Italia, si aggiunge al tavolo di un piccolo gruppo di deputati azzurri. Reduce da Avellino, dove lo Zelig della politica italiana, Giuseppe Conte, si è cimentato nel suo ultimo travestimento, «il nostalgico democristiano» Rotondi, che allo scudocrociato ha dedicato una vita, sembra «'o surdato 'nnamurato». «Il Premier è stato fenomenale», esordisce: «È un dc come noi. Anzi, se gli altri, come Renzi, hanno quasi rimosso i trascorsi democristiani, Conte quell'eredità la rivendica». Poi, di punto in bianco, l'avellinese azzarda la proposta «indecente»: «Ma perché non raccogliamo un gruppo di parlamentari, una nuova edizione dei responsabili e andiamo con lui. Lui ne avrebbe bisogno. Servirebbe a sterilizzare l'insofferenza di Renzi, a renderlo non determinante per la tenuta della maggioranza di governo. E poi da cosa nasce cosa...».

Almeno in quel tavolo la proposta non ha avuto successo, ma la sortita di Rotondi, che fa scouting per conto del premier, è il segnale che Conte si sta muovendo. Ha tentato la stessa operazione tra i parlamentari grillini, utilizzando un altro ex-dc, addirittura amico del presidente Mattarella, il medico palermitano Giorgio Trizzino, che è arrivato a definirlo «il nuovo Prodi». Lì, però, l'operazione sembra essere sfociata in un nulla. E, comunque, l'obiettivo era modesto: i 5stelle, al di là del loro DNA malpancista, sono già organici alla maggioranza, non portano nuovo consenso, per cui non stabilizzano il governo. I forzisti scontenti, invece, per Conte sono un obiettivo più ambizioso e, magari, quelli di origine democristiana, o i più insofferenti verso la Lega, anche più congeniali. «Ci sarebbe una fila di parlamentari di Forza Italia interessata confida Osvaldo Napoli, azzurro piemontese se Conte facesse un partito. In fondo è un democristiano come noi».

Appunto, Conte, avvolto in questa atmosfera di ritorno al passato, di polvere di stelle, fa parte di quel mondo: lui, come ogni capo democristiano che si rispetti, ha sempre avuto un alto prelato di riferimento, il card. Achille Silvestrini, scomparso di recente. Non per nulla Rotondi, che come fantasia non è secondo a nessuno, lo ha definito il nuovo Andreotti (ovviamente una versione minore, al limite della parodia), visto che come il Divo Giulio riesce a presiedere esecutivi con formule diverse, una opposta all'altra: se Andreotti guidò i governi dc più spostati a destra e, poi, quelli di solidarietà nazionale appoggiati dal Pci, Conte è passato in un battibaleno dalla maglietta gialloverde a quella giallorossa. E, con la stessa faccia tosta di Andreotti, ha avuto il coraggio di dichiarare in Parlamento: «Non sono un uomo per tutte le stagioni». Pragmatismo allo stato puro, condito da tanta furbizia e spregiudicatezza. Una faccia di bronzo con il pallino per i servizi segreti e un atteggiamento ossequioso verso ogni amministrazione Usa: ha fatto l'inchino a Trump, ma si sarebbe inginocchiato anche ad Obama. Senza contare che il rettore dell'università Link, vivaio grillino dove il premier è ben inserito, è un andreottiano come Vincenzo Scotti. E il giornalista preferito da Conte, il bravo Massimo Franco, è quello che ha scritto più libri sul Divo Giulio.

Naturalmente, proprio come Andreotti, che aveva andreottiani di complemento sparsi per tutto il Parlamento della Prima Repubblica dai missini ai comunisti , ora Conte punta a costruirsi un suo gruppo di riferimento, che lo emancipi o lo metta al riparo dall'insofferenza e dalle trame dei due Mattei: quello che è dentro il governo, Matteo R., e quello che è fuori, Matteo S.. Li considera entrambi nemici. Ricambiato. Salvini, che sta riscoprendo la figura di Bettino Craxi, gli vuole fare pagare il voltafaccia. E ha in mente per lui la stessa fine che Bettino augurava alla volpe Andreotti: finire in pellicceria. Renzi, invece, che pure ha tentato di trovare un modus vivendi con il premier, comincia a non sopportare più quel «mezzo tecnico» che in maniera spregiudicata si sta facendo sempre più politico.

Proprio lo scouting del Premier su Forza Italia e il tentativo, in salsa andreottiana, di liberare la maggioranza giallorossa dall'ipoteca renziana, potrebbe essere la tipica goccia che fa traboccare il vaso. «Conte ha confidato Renzi ai suoi così segna la sua morte. E determina l'avvento di un altro governo. Se lui diventa il capo di un gruppetto, come me, si mette a mio pari. E in tv Salvini lo sfonda».

Già, tuffandosi in questa operazione Conte gioca con il fuoco. Anche perché i focolai che potrebbero trasformarsi improvvisamente in incendi rovinosi per il suo governo non mancano: ci sono al Senato, ad esempio, una ventina di grillini che si rifiutano di votare il decreto per l'Ilva con dentro l'immunità penale per la gestione precedente; esattamente la norma che, invece, i renziani esigono. Insomma, di occasioni per imboscate che riportino in riga il premier ce ne sono a bizzeffe. E più Conte si fa intraprendente, e più l'atmosfera attorno a lui rischia di avvelenarsi. Osserva Denis Verdini, che ha buoni rapporti con entrambi i Mattei, nei panni del politologo: «Il duello tra i due in Tv è finito in pareggio. Se io fossi Conte, però, non dormirei sonni tranquilli: a giugno 2020 la legislatura andrà avanti, ma mi sa tanto che si cambierà governo».

Forza Italia rischia di diventare proprio il pomo della discordia dei nuovi potentati: messa al centro dello scenario politico, sul confine dei due poli, come l'Italia del '600 rischia di diventare terra di conquista delle altre potenze straniere. Fa gola a Salvini, Renzi e ora pure a Conte. Con un Parlamento che si è fatto liquido come la società di Zygmunt Bauman, visto che le urne non sono all'orizzonte, gli equilibri di Potere si giocheranno sui cambi di casacca. Ieri Catello Vitiello, ex-grillino finito nel gruppo misto, ha traslocato ad Italia Viva. Mentre la prossima settimana Maria Elena Boschi, plenipotenziaria renziana, ha in agenda un appuntamento con Giorgio Silli, totiano deluso. Il gioco si sta facendo sempre più duro. Se quest'estate, per strappare a Berlusconi l'appoggio per il tentativo (fallito) di andare ad elezioni anticipate, Salvini aveva offerto la ricandidatura di tutti i parlamentari forzisti e, in prospettiva, il Quirinale per il Cav, oggi Goffredo Bettini ipotizza una maggioranza allargata fino a pezzi di Forza Italia. Insomma, gli azzurri dovrebbero difendere i confini, evitando le guerre intestine, invece capita che Michele Boccardi, forzista fin dalla nascita, per far sì che il suo ricorso per entrare in Parlamento sia messo ai voti nella Giunta delle elezioni del Senato, e superare i traccheggiamenti del presidente Maurizio Gasparri, forzista anche lui, è dovuto ricorrere all'aiuto di tutti gli altri gruppi parlamentari. Il suo caso sarà esaminato il 29 ottobre: insieme a Boccardi dovrebbe entrare in Senato anche il presidente della Lazio, Claudio Lotito.

Inutile aggiungere che il Parlamento liquido è l'habitat ideale per un personaggio stravagante come lui.

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