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La conversione al Ppe che stuzzica il leghista

Isolato dai poteri forti in Italia, Salvini cerca sponde in Europa e punta sulla Merkel. Che ora ha bisogno di lui

La conversione al Ppe che stuzzica il leghista

La ferita nel corpo della Lega è profonda. Basta fare un salto nel Transatlantico di Montecitorio per rendersene conto. «Il sequestro di 49 milioni di euro è la sentenza più politica che ci sia mai stata», si sfoga il sottosegretario per i Rapporti con il Parlamento, Guido Guidesi. «È allucinante sbotta che quelli del Pd ci attacchino gridando: Ridate i soldi. Non si rendono conto del precedente che è stato creato, che quella sentenza interviene sul processo democratico del Paese». Come dargli torto. Il sequestro cautelativo di una somma così ingente con una sentenza di primo grado, di cautelativo ha ben poco visto che, nei fatti, ha un effetto immediato: priva un partito delle risorse necessarie per affrontare le prossime elezioni europee o regionali. Insomma, interviene subito, appunto, sul processo democratico e colpisce in primo luogo quelli che sono la parte lesa delle ruberie dell'ex tesoriere del Carroccio, Francesco Belsito, cioè gli elettori della Lega.

La vicenda, però, è anche la fotografia delle contraddizioni del Paese. Scontato l'assalto del Pd, Salvini, paradossalmente, ha avuto la solidarietà degli esponenti di Forza Italia, un partito di fatto all'opposizione, e i silenzi o le parole gelide dei grillini, che sono al governo con il Carroccio. Una contraddizione che se ne porta dietro un'altra. Il leader leghista cita la Bibbia («temete l'ira dei giusti») e confida nel consenso della gente, ma dovrebbe rendersi conto che i procedimenti giudiziari che gli sono piovuti addosso per la vicenda degli immigrati sulla motovedetta Diciotti e la sentenza di ieri, dimostrano che l'Italia è un Paese complicato: non bastano i voti, anche se molti, per governarlo. C'è bisogno di relazioni, di rapporti con gli altri poteri. Invece, il leader del Carroccio è solo. Ad esempio, in uno dei poteri che negli ultimi anni ha fatto il bello e il cattivo tempo in politica, cioè la magistratura, Salvini non ha interlocutori: se il Pd continua a dialogare con i resti di Magistratura democratica, se i grillini interloquiscono con la magistratura più interventista, quella che va da Piercamillo Davigo a Nino Di Matteo, il vicepremier leghista è isolato. Esposto.

E qui interviene, forse, il paradosso dei paradossi: in questi primi mesi di governo, Salvini, che in passato ha teorizzato l'uscita dalla Ue e dall'euro, gli unici interlocutori (a parte i romanzi su Trump e su Putin) li ha trovati proprio in Europa. E proprio in un'Europa che non è quella della Merkel, ma non è contro la Merkel, anzi (come scriveva questo giornale la settimana scorsa), il leader del Carroccio sta tentando di trovare «un porto sicuro». L'interlocutore in questione è il Ppe, ultima patria del pragmatismo democristiano. Gli attori sono Manfred Weber, capogruppo del Ppe al Parlamento europeo e candidato alla presidenza della Commissione Ue, e Horst Seehofer, ministro dell'Interno del governo tedesco: entrambi esponenti della Csu, il partito fratello della Cdu tedesca della Merkel, ma con un'impronta più conservatrice, che da Monaco di Baviera ha sempre guardato con simpatia il Carroccio, fin dalle sue origini. E Victor Orbán, premier ungherese, il campione del populismo-sovranista nel Ppe. Tutti e tre, con l'ok della Merkel, hanno aperto un dialogo con il leader leghista, per instaurare un rapporto fondato su interessi convergenti, che, come si sa, in politica sono quelli più sicuri. La cancelliera vuole avere assolutamente un tedesco a capo della Commissione Ue e ha bisogno di una parte dei voti dei populisti che arriveranno nel prossimo Parlamento di Strasburgo: è disposta ad accettare anche un esponente della Csu come Weber pur di raggiungere l'obiettivo e, dovendo scegliere tra i populisti di destra del vecchio continente, i leghisti sono gli unici possibili interlocutori. Salvini, invece, ha bisogno di avere a Bruxelles un interlocutore più comprensivo: in fondo anche i parametri più severi possono essere interpretati. E magari pure a Strasburgo (Berlusconi docet): l'altro ieri, per contestare la sentenza sul sequestro dei 49 milioni di euro, gli avvocati del Carroccio hanno citato una sentenza della Corte dei diritti dell'Uomo. Insomma, si tratta di una relazione più basata sulla concretezza che non sui sentimenti.

«Il Ppe guarda da sempre al numero di parlamentari che un partito porta a Strasburgo racconta Vito Bonsignore, ex dc, per tanti anni uno dei 9 vicepresidenti dei popolari europei -, lo ha fatto con Berlusconi e lo fa oggi con Salvini».

I segnali di questo nuovo rapporto ci sono tutti: mesi fa il leader leghista teorizzava di «sfondare» il parametro del 3%, infischiandosene della Ue; la settimana scorsa di «sfiorarlo»; due giorni fa di essere sotto il 3% «in maniera significativa». Insomma, sta tornando sulla terra. Della «conversione» salviniana ha sentore pure Gianluigi Paragone, senatore grillino che conosce la Lega a menadito. «Matteo - osserva - si era spinto molto in là sul 3%. Anche più di Di Maio. Il suo cambio di rotta è ancora più stridente. La verità è che con la Csu bavarese e Orban, Salvini sta tentando un'operazione molto ambiziosa: cambiare l'Europa attraverso il Ppe. E non è detto che non gli riesca. Le prossime elezioni europee porteranno uno sconquasso a Strasburgo e i popolari per governare avranno bisogno anche dei populisti. I grillini? Non hanno interlocutori. Qualcuno di loro ha tirato fuori l'ipotesi di parlare con Macron, ma è stato subbissato di critiche. Gli hanno detto: Macron porta sfiga!».

E in Italia? Beh, una possibile alleanza a livello europeo non può non rafforzare il perimetro del centrodestra. In fondo la coalizione si ritroverebbe insieme nel governo delle Regioni (alle prossime elezioni si presenterà insieme anche in Abruzzo e in Basilicata) e alleata a Strasburgo. E Salvini potrebbe continuare a motivare l'anomalia romana con la tesi: «Se mollo i grillini non si andrebbe alle elezioni, ma quelli farebbero un governo con il Pd». Ecco perché molti tra gli azzurri non guardano con disappunto ai movimenti del Ppe. «Io sono un ex dc - spiega Stefano Mugnai, coordinatore toscano - e penso che questo processo vada assecondato: è un modo per civilizzare i barbari. Anche perché il centrodestra è una realtà da salvaguardare: gli ultimi sondaggi ci danno al 42% in Toscana, alle prossime regionali vinceremmo anche qua. Inoltre essere alleati in Europa, nel Ppe, farebbe venire meno anche l'esigenza del partito unico: che non vogliamo noi e neppure Salvini».

Già, il Ppe potrebbe essere il modo per stare insieme nella diversità. Basta guardare a ieri: che l'unica solidarietà Salvini l'abbia avuta dai vecchi alleati del centrodestra dovrà pur significare qualcosa, o no?

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