Economia

Così gli aiuti hanno ucciso il Sud

Così gli aiuti hanno ucciso il Sud

È un'analisi spietata sulle politiche italiane di sostegno all'economia del Sud quella che due economisti della Banca d'Italia, Antonio Accetturo e Guido de Blasio, hanno sviluppato in un libro pubblicato di recente da IBL Libri. Intitolato Morire di aiuti. I fallimenti delle politiche per il Sud (e come evitarli), il volume utilizza una serie di tecniche dell'econometria applicata per valutare l'impatto che il denaro pubblico destinato a fare crescere il Meridione ha effettivamente avuto sull'economia di quelle regioni. E il risultato è sconcertante.

Come gli autori riconoscono, «è scarsa, molto scarsa, l'evidenza empirica relativa agli effetti positivi degli aiuti al Sud». In sostanza, quello che si può ricavare dal volume, è che una redistribuzione territoriale protrattasi per decenni e molto costosa per i contribuenti settentrionali non ha favorito lo sviluppo del Mezzogiorno, che di recente ha dovuto perfino prendere atto che il suo Pil pro capite è ormai allo stesso livello di quello della Romania (che trent'anni fa, ovviamente, era in condizioni molto peggiori).

In particolare, dallo studio dei due economisti emerge che gli aiuti hanno effetti di breve durata e, in molti casi, solo ridistributivi. Nel caso dei Contratti di programma, ad esempio, i finanziamenti statali hanno generato un modesto miglioramento nelle aree interessate, ma «questo effetto avviene per lo più a scapito delle aree confinanti». Analogamente, un esame della legge 488 del 1992 mostra che «gli incentivi avrebbero indotto soprattutto effetti di anticipazione delle decisioni d'investimento», dato che alla fine del periodo interessato dagli aiuti «le imprese beneficiarie riducono significativamente il volume degli investimenti, portandoli in media a livelli inferiori a quelli delle imprese che non avevano beneficiato delle agevolazioni». In altre parole, l'azione statale non crea un consolidamento generale del sistema produttivo del Sud, che nel suo insieme non è in grado di offrire opportunità ai giovani (sempre costretti a trasferirsi al Nord o in altri Paesi).

Oltre a ciò, Accetturo e de Blasio sottolineano che una serie di ricerche sul campo, in linea anche con analisi teoriche, evidenzia come l'aiuto sia un farmaco nelle intenzioni di chi lo somministra, ma alla fine può funzionare come un veleno per chi lo riceve. Chi ha letto Friedrich von Hayek sa che il decisore politico non può disporre delle informazioni necessarie a organizzare la vita economica e il fallimento è inevitabile. Per di più l'aiuto pubblico distorce l'utilizzo delle risorse umane, che si dirigono dove vi sono i finanziamenti e non più dove c'è il mercato, ma soprattutto la spesa statale crea una politicizzazione che rende ancora più forte quel legame tra economia e politica che è uno dei punti di debolezza del Mezzogiorno.

Va aggiunto che il quadro potrebbe essere perfino più cupo di quanto non emerga dal libro. In effetti, lo studio esamina essenzialmente le politiche di spesa, ma una riflessione più generale sui danni che lo Stato italiano ha fatto all'economia meridionale dovrebbe prendere soprattutto in considerazione quel sistema di regole che ha indotto, ad esempio, un gran numero di imprenditori lombardi e veneti ad andare in Romania o in Bulgaria invece che in Puglia o in Basilicata. Perché il Sud muore di aiuti di Stato, questo è palese, ma anche di contratti nazionali uniformi, di una tassazione pensata per le aree più ricche, di salari pubblici troppo elevati in rapporto al costo della vita (che spingono verso il posto fisso statale e allontanano dal mercato privato).

L'impostazione del testo di Accetturo e de Blasio è essenzialmente «tecnica», tanto che alla fine i due autori sembrano ancora credere che sia possibile disegnare iniziative statali capaci di evitare i fallimenti del passato e favorire in qualche modo lo sviluppo meridionale, spostando risorse da una parte all'altra d'Italia.

Sul punto, nella sua prefazione al volume, Nicola Rossi esprime invece più di un dubbio. Così che la sua conclusione è la seguente: «Da meridionale tendo a pensare che l'unico futuro possibile per le politiche territoriali se si ha a cuore il Mezzogiorno sia la loro eliminazione tout court», e questo perché «l'evidenza empirica ci mostra che da una scelta di questo tipo i meridionali non avrebbero nulla da temere e nulla da perdere. Al contrario».

Il testo di Accetturo e de Blasio ha senza dubbio tanti meriti, ma il principale è forse nel fatto che dopo decenni di un meridionalismo puramente rivendicativo qui non si chiedono «più soldi» per il Sud, ma ci si interroga sulle conseguenze di simili iniziative.

E anche quanti ritengono che le aree più ricche abbiano un dovere giuridico a destinare una parte delle proprie risorse a quelle meno sviluppate, ora possono seriamente interrogarsi se sia il caso di continuare su questa strada o se, invece, non si debba ripensare tutto.

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