Sgarbi quotidiani

Così l'inglese ci ha mangiato la lingua

Le lingue si accavallano e si scavalcano, si traducono o si impongono

Così l'inglese ci ha mangiato la lingua

Qualche giorno fa il giovane filosofo Diego Fusaro si è applicato a una tenace difesa della lingua italiana contro l'insensata prevalenza della lingua inglese. Parlava con due comici dell'arte, adusi al turpiloquio e all'ipocrisia, come Giuseppe Cruciani e David Parenzo, i quali irridevano l'uso di «Nuova York» invece che «New York». Facile opporre ai due sprovveduti la traduzione in inglese dei nomi delle nostre grandi città: Venice, Florence, Rome, Naples. Resistono Ferrara e Palermo. Ma non è una forma di occupazione linguistica. Anche l'italiano è stato una lingua forte, se i più bei libretti per le opere di Mozart sono nella nostra lingua, scritti da Lorenzo da Ponte. E non sarà sfuggito che, se Nuova York non è passata, London, Paris, e Munich sono per noi Londra, Parigi e Monaco. In altri casi assistiamo a un esproprio: Nizza, che per noi resta Nizza, è diventata Nice.

Non parliamo delle nostre città in Istria tutte slavizzate: la bella Spalato si è fatta Split, Parenzo Porec. Le lingue si accavallano e si scavalcano, si traducono o si impongono. Ciò che è stato è stato, non si può tornare indietro né andare avanti. Conquistati nell'insieme anche gli Stati Uniti (non United States) ma, alla fine, nessuna città. Resta una piccola quota di compiaciuta minoranza linguistica solo per Nuova York: così la pronunciava il mitico Ruggero Orlando. Il nostro assedio è fallito. La lingua americana ha fatto la resistenza.

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