Cronache

Così la polizia svizzera rispedisce i migranti in Italia: "Qui il clandestino non passa"

La Svizzera se ne infischia del Trattato di Schengen: "Applichiamo la legge doganale". E chi non ha i documenti in regola se ne torna in Italia

Così la polizia svizzera rispedisce i migranti in Italia: "Qui il clandestino non passa"

Chiasso – Ci avevano detto che alle estremità meridionali della Svizzera l’estate quest’anno era particolarmente rovente. Ma una volta arrivati al parcheggio della dogana l’asfalto non sembra ribollire sotto i pneumatici (il termometro segna ventidue gradi) e l’aria che tira non è esattamente da tafferugli come descritto da qualche nostro collega con l’antifurto ipersensibile: le macchine vanno e vengono sotto il valico, alcune sono sottoposte ai rituali controlli per poi essere congedate, tir e furgoni esibiscono le merci a bordo e, soprattutto, non c’è traccia di profughi in coda alle transenne. Insomma, alla frontiera italo- elvetica di Chiasso è una mattina di fine agosto come tante, sono le dieci e tutto va bene.

Ci rivolgiamo a un poliziotto per raccogliere qualche dato sul flusso migratorio che starebbe mettendo a dura prova le soglie alpine. Lui ha l’ordine di non rilasciare dichiarazioni ma in compenso ci fornisce il numero della sede del Comando della Regione IV per parlare con il portavoce Davide Bassi. Temiamo la solita filiera di chiamate che conducono a un vicolo cieco e invece la segretaria ci passa il signor Bassi. Nemmeno il tempo di presentarci che l’intervista è già stata fissata nel pomeriggio presso la caserma di Paradiso Lugano. Eh, gli svizzeri. Loro sì che sono rapidi e indolori. Ci impieghiamo un po’ a trovare la sede, mimetizzata in un ex stabile di telecomunicazioni che conserva ancora l’insegna Swisscom. Ci accolgono Bassi e Mauro Antonini, comandante del corpo delle guardie di confine. Le autorità svizzere, diversamente dalle nostre, amano chiacchierare con la stampa. Chiedete e vi sarà detto. Non ci faremo pregare: il tema è caldo e non vogliamo si raffreddi.

Abbiamo visto che a Chiasso tutto fila liscio. Ma non eravate sotto assedio anche voi?

"Sotto assedio direi proprio di no, ma c’è stato un considerevole aumento di migranti nel maggio scorso quando, in un solo weekend, abbiamo registrato il picco di 300 soggiorni illegali. Poi la pressione è un po’ diminuita, ora siamo dai 400 ai 450 casi a settimana. Alla frontiera di Chiasso, così come nelle altre dogane, non viviamo grossi problemi. Da noi il flusso migratorio è relativamente contenuto. Gestiamo queste situazioni in autonomia o con l’ausilio delle autorità italiane."

Qualcuno sostiene che ci rimandate indietro i clandestini.

"Qui il discorso è a monte. Nel 2001 le autorità italiane e svizzere si ritrovarono per definire i dettagli della cosiddetta riammissione semplificata: quando fermo qualcuno, lo posso riconsegnare immediatamente alle autorità confinanti. A breve, data la fase di pressione, ci incontreremo a Roma per rivisitare questi dettagli in vigore dal 2005. La situazione è molto cambiata rispetto a dieci anni fa."

Comunque in Svizzera ne entrano pochi. Sicuramente meno che in Italia.

"Le condizioni che poniamo per poter entrare sul nostro territorio sono semplici: documenti in regola, nessun precedente penale, visti validi e una quantità sufficiente di denaro per garantirsi il sostentamento per il periodo in cui si vuole soggiornare. Inoltre è preferibile che l’immigrato abbia un referente in Svizzera. Il 90% dei migranti si vede accolta la domanda d’asilo, il restante non ha le condizioni per soggiornare in Svizzera e viene respinto."

E chi resta, perché resta?

"Da noi il migrante è codificato fin dall’inizio: noi guardie di confine, che sottostiamo al Dipartimento Federale delle Finanze, lo controlliamo e lo consegniamo alla Segreteria di Stato della Migrazione, che sottostà al Dipartimento Federale di Giustizia e Polizia e che registra la sua domanda d’asilo sottoponendolo a una serie di audizioni. Se non ha i requisiti, deve lasciare il Paese attraverso la riammissione ordinaria. Se ce li ha, viene mandato in un cantone svizzero che gli troverà vitto e alloggio in appartamenti adibiti o in centri di accoglienza. I profughi vengono diluiti e non si avverte loro presenza nelle città, perché sono strategicamente collocati nei Comuni in cui la gente è già stata avvisata, informata e ha potuto votare l’accoglimento degli stessi. Non si vedono mai asilanti chiedere la carità per strada o cercare il cibo nella spazzatura perché noi garantiamo loro colazione, pranzo, cena, vestiti e un posto dove dormire. Nell’ambito della coordinazione migratoria la Svizzera è molto organizzata e anche molto aperta. Siamo gli unici nel mondo ad aver vinto due Premi Nobel per la Pace, nel 1957 e nel 1982, per la gestione degli esiliati che chiedono asilo politico. Da noi non si assistono a scene come a Ventimiglia, non siamo in quelle condizioni."

La Svizzera fa parte e non fa parte di Schengen.

"Noi facciamo parte di Schengen ma siamo presenti al confine per l’applicazione della legge doganale, quindi ammettiamo la libera circolazione delle persone ma non delle merci. Le guardie di confine sono fisicamente sul posto per fare filtro, cosa che non avviene negli Stati Schengen dove tutti passano indisturbati."

Le frontiere costano ma sono anche fonte di guadagno.

"Sì, la non adesione alla libera circolazione delle merci ci consente di incassare dazi, tributi e l’Iva all’8%. L’attività svolta dall’amministrazione federale delle dogane porta nelle casse della Confederazione un terzo del prodotto interno lordo, circa 23 miliardi l’anno."

Per questo non sarebbe una buona mossa chiudere le frontiere, seppur per far fronte all’emergenza profughi?

"C’è stata un’interpellanza che suggeriva la chiusura di alcune strade dove c’è poco traffico che però verrebbe deviato su altre strade, quindi si sarebbe trattato di una chiusura effimera. Comunque è ancora tutto da decidere. In realtà la 'chiusura' è già in atto: abbiamo schierato diverse decine di agenti alla frontiera della stazione ferroviaria di Chiasso e altrettante decine sulle strade internazionali italo-svizzere e lungo le frontiere verdi. Cifre alla mano, possiamo dire che il 97% dell’intera illegalità viene fermata al confine, il 3% non sappiamo bene se arriva da Nord, da qualche bosco o riesce a infilarsi nei bagagliai delle macchine. Chiudere le dogane come si chiude una finestra è invece improponibile: passano 90mila veicoli al giorno tra Italia e Svizzera, un veicolo al secondo. Ma la vera battaglia è su un altro fronte."

Quale?

"La lotta contro i passatori. E lì che si gioca la partita. A settembre 2014 abbiamo istituito una task force di repressione contro i passatori in cui sono coinvolti i rappresentati della polizia cantonale, delle guardie di confine e della polizia federale, ma anche della polizia tedesca e le autorità italiane che si occupano di immigrazione. Poter contare su un referente italiano ci permette di disporre di un’ulteriore forza inquirente operativa che studia il fenomeno già nel vostro Paese e organizza l’intervento tempestivo e repressivo contro i passatori ancor prima che giungano ai confini svizzeri."

In maggioranza da dove provengono?

"Sono di nazionalità diverse e vanno a colpire soprattutto i loro connazionali, cittadini residenti per esempio in Germania ma di etnia eritrea, siriana o afghana: se c’è intesa linguistica è più facile pattuire quelli che sono gli accordi di transito e di trasferta. E poi c’è un rapporto di fiducia: io afghano mi fido del mio compatriota che è in Germania da 'x' anni, non mi fiderò mai del kosovaro con il quale non riesco a interagire. Questa è l’attività del singolo passatore, poi esistono grosse reti criminali che manovrano i flussi migratori, dietro cui c’è un grandissimo business nell’ambito della falsificazione dei documenti. I passatori lucrano anche sfruttando si migranti per spaccio e furti. L’anno scorso abbiamo sganciato diverse operazioni: nei primi sei mesi del 2014 abbiamo fermato 94 passatori, nel primo semestre di quest’anno 46, quindi abbiamo dimezzato la cifra."

Qual è il trend utilizzato per cercare di entrare illegalmente nel territorio svizzero?

"Il viaggio più a buon mercato per venire qui è in treno. Salgo a Como o a Milano con il primo treno per Chiasso senza nemmeno pagare l’intermediazione del passatore. Il secondo step è il bus di linea, che prevede la fermata di Como ed entra a Chiasso. Poi bisogna avere un documento e qui ci pensano i falsari, a caro prezzo. Il passatore che ti porta in macchina e che quindi ti garantisce maggiori probabilità di entrare pretende prezzi esorbitanti, che arrivano fino a migliaia di euro. C’è tutto un mercato oscuro, in base alla domanda si sviluppa un’offerta. A giugno abbiamo controllato 1.200 persone, a luglio 1.600. Siamo già a quota 6.000/7.000 persone durante le nostre ispezioni dall’inizio del 2015, però mai una volta abbiamo dovuto usare manette, spray antiaggressione o manganello. Questo significa che la nostra è sia una lotta alla criminalità ma anche una missione umanitaria: chi davvero fugge dalla guerra, da noi sarà accolto senza problemi ma verrà sottoposto a tutti i controlli. Identifichiamo e arrestiamo sette persone in media al giorno: questa è la cifra che deve far pensare all’alto livello di sicurezza in Svizzera."

Come vedete lo scenario italiano?

"A nostro parere l’Italia, di fronte a un’emergenza così ampia, è veramente abbandonata a se stessa. L’Unione Europea dovrebbe essere unita nel bene o nel male: nel bene sono tutti d’accordo, ma quando c’è un problema che riguarda un Paese membro ho l’impressione che alcuni Stati preferiscano defilarsi dal gioco. Sappiamo che i volontari italiani sono generosissimi, che si adoperano, ma non basta. Serve un apparato statale che abbia un concetto disciplinato della gestione migratoria per evitare che la situazione degeneri e diventi caotica. In Svizzera l’accoglienza va di pari passo con il rigore.

Altrimenti non si va da nessuna parte."

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