Cronache

Come curare le vertebre

Le metodiche non invasive rispettano l'integrità delle strutture muscolari

Mal di schiena, un disturbo tra i più diffusi. La patologia degenerativa del rachide lombare è la causa più comune di dolore alla schiena ed agli arti inferiori e, nel mondo, prima causa di assenza dal luogo di lavoro per sintomi dolorosi al rachide, di blocco funzionale o di claudicatio neurogene, cioè la diminuzione delle performance motorie degli arti inferiori.

L'allungamento dell'età media comporta un aumento di probabilità di andare incontro a patologie degenerative, anche delle articolazioni, comprese quelle del rachide. Come diagnosticare e curare questa patologia? Ne parliamo con Daniel Cabezas, un neurochirurgo, laureato in medicina e specializzatosi presso il Policlinico Gemelli, università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Ha soggiornato in vari centri di eccellenza, anche internazionali ed è affiliato alla maggiori società mediche di neurochirurgia e chirurgia vertebrali mondiali. Ha trattato le patologie del rachide ed i traumatismo cranio cerebrali e vascolari dal 2001. Oggi a Roma è consulente senior di Centri neurochirurgici e di chirurgia vertebrale accreditati o convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale Italiano.

«Il trattamento chirurgico - precisa il dottor Cabezas - può rendersi necessario quando le cure conservative si rivelano non soddisfacenti, ed è indispensabile nei casi di dolore intrattabile da oltre tre mesi o quando si associano ad altri sintomi o deficit funzionali. Ogni anno centinaia di pazienti ricorrono in Italia alla terapia chirurgica. Questa patologia si manifesta quando il paziente accusa un senso di mancanza di sensibilità (ipoestesia) o di forza (ipostenia) a una o entrambi le gambe fino ad arrivare allo stadio più avanzato dove vengono compromesse anche le funzioni sfinteriali o di deambulazione autonoma. La diagnosi clinica – aggiunge il dottor Cabezas - è eseguita mediante controlli radiologici (risonanza magnetica nucleare e radiografia del tratto lombosacrale e, in alcuni casi, anche dalla tomografia assiale computerizzata) e neurofisiologici (elettromiografia degli arti inferiori). Il trattamento delle patologie del rachide con tecniche mini invasive si sta diffondendo per la veloce ripresa del paziente, la diminuzione dei danni sulle strutture muscolari paravertebrali, la riduzione della perdita ematica o del tempo chirurgico. Con tecniche percutanee di artrodesi vertebrale con viti peduncolari e barre posteriori associate ad approcci con microscopio o endoscopio per liberazione delle radici spinali o sacco durale o posizionamento di protesi. All'inizio della loro storia le tecniche percutanee erano utilizzate solo per il trattamento del trauma spinale. Con l'avvento del microscopio chirurgico l'approccio alla chirurgia vertebrale si è radicalmente migliorato portando una maggior delicatezza e precisione nelle tecniche stesse. Il suo utilizzo è, ormai, standardizzato per la chirurgia vertebrale e il suo accoppiamento alle tecniche mini invasive è doveroso. Ulteriore sviluppo di tale tecnica è l'abbinamento dei sistemi di approccio chirurgico all'endoscopio che permette una maggiore elasticità nel controllo degli interventi con accessi chirurgici ridotti. Le tecniche tradizionali di chirurgia vertebrale (non mininvasive) debbono essere di padronanza del chirurgo vertebrale in quanto non tutti i casi possono essere trattati con metodi mini invasivi . Il trattamento delle patologie più estese, come, le scoliosi di ampi tratti, non può essere eseguito con tecniche mini invasive.

La patologia del rachide va distinta con diagnosi differenziale da lla claudicatio di origine vascolare, da dolore lombare connesso ad altre patologie».

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