Cronache

Disoccupati, soldi soltanto ai dipendenti dei partiti

Disoccupati,  soldi soltanto ai dipendenti dei partiti

Prima l'Inps comunica che l'indennità di disoccupazione per i precari, introdotta in via sperimentale nel 2015 con il Jobs Act, non verrà più rifinanziata dal governo, quindi niente più paracadute per i collaboratori a cui verrà troncato il rapporto di lavoro, a differenza dei dipendenti più tutelati (e sindacalizzati). Poco dopo, però, il ministero del Lavoro si accorge del pasticcio e prova a mettere una pezza in extremis per stoppare l'accusa di alimentare la precarizzazione del lavoro, proprio mentre la disoccupazione giovanile supera di nuovo la soglia del 40%. Il ministero di Giuliano Poletti (fresco della gaffe sui giovani che emigrano all'estero e in alcuni casi «è bene che stiano dove sono») fa sapere con una nota ufficiale che si impegnerà a inserire nel decreto Milleproroghe una disposizione per garantire l'erogazione dell'indennità di disoccupazione per i cocopro, con la finalità poi di rendere «strutturale» la normativa all'interno della legge sul lavoro autonomo ora all'esame della Camera.

Se il paracadute per i precari è ancora da definire, quello per i dipendenti dei partiti invece è già assicurato. La prima commissione del Senato ha approvato a larga maggioranza un emendamento proposto dal senatore Pd Ugo Sposetti, storico tesoriere dei Ds, un partito defunto ma non troppo. Benché confluito nel Pd, il vecchio partito ha continuato a esistere, incassare rimborsi elettorali, e stipendiare i dipendenti. Proprio loro sono diventati un problema da risolvere per Sposetti, che ha preso a cuore il loro destino. «I 15 dipendenti Ds che non sono stati assorbiti dal Pd dopo un anno di cassa integrazione rischiano di restare senza reddito. Questa storia grida vendetta, soprattutto per un partito che si dice di sinistra» denunciava il tesoriere della Quercia in una recente intervista.

Che fare, quindi, per i dipendenti in cassa integrazione dei Ds, e per tutti i lavoratori dei partiti politici ormai a corto di denaro dopo la dieta forzata sul finanziamento pubblico? Prorogare per un altro anno la cassa integrazione, che nel 2013 il Parlamento ha pensato bene di estendere anche ai dipendenti dei partiti, impegnando per gli ammortizzatori sociali destinati alle segreterie politiche fino a 11,25 milioni di euro l'anno «a decorrere dal 2016». I partiti, a differenza delle aziende, non hanno l'obbligo di rispettare dei requisiti sull'organico minimo (di solito 15 dipendenti) per potere accedere alla Cigs e ai contratti di solidarietà, ma «in termini economici questo non costerà più di 300mila euro e riguarderà al massimo una trentina di persone», assicura Sposetti.

Non solo i Ds, ma anche il Pd è alle prese con la cassa integrazione. Non il partito nazionale, che nell'ultimo bilancio assicura che «non farà ricorso agli ammortizzatori sociali previsti dalla legge» (solo a dimissioni incentivate), ma alcune federazioni locali del Pd, che hanno una contabilità autonoma rispetto al Nazareno, e gravi problemi di cassa. Il Pd di Roma «d'intesa con il Tesoriere nazionale del Pd» Francesco Bonifazi ha avviato la procedura di licenziamento collettivo, premessa per richiedere la cassa integrazione. Le stesse lettere di «messa in mobilità» sono arrivate nei giorni scorsi a 24 dipendenti della Lega Nord sopravvissuti ai tagli del personale, come pure a Forza Italia, e non solo lì. Un problema generalizzato dopo la dieta forzata sui rimborsi pubblici. Non sorprende quindi che l'emendamento Sposetti sia passato a larga maggioranza.

Paolo Bracalini

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