Economia

Doccia fredda: l'Italia è ancora in crisi

Doccia fredda: l'Italia è ancora in crisi

È un po' come quelle vecchie foto di gruppo alla fine dell'anno scolastico: qualcuno sorride, gli altri si dividono tra le facce impassibili e quelle da funerale. Cartier-Bresson inorridirebbe, ma l'assenza d'armonia è perfetta per rappresentare le differenze. Ed è esattamente quello che succede con l'ultimo rapporto di Mediobanca sulle 2.065 società italiane industriali e terziarie di grande e media dimensione, esaminate nel decennio 2007-2016, ovvero i dieci anni che sconvolsero il mondo.

Virus dei mutui subprime, credit crunch, crisi del debito e recessioni con diverse gradazioni d'intensità sono state le quattro piaghe d'Italia: molte delle nostre imprese ne continuano a portare il segno. Le scorie tossiche accumulate sono infatti tante, e difficili da smaltire: il fatturato è sotto il livello pre-crisi del 6,4%. La montagna sembra dunque ancora tutta da scalare. Magari con le infradito, dovendo fare i conti con le lentezze burocratiche, le infrastrutture inadeguate e una tassazione vampiresca sul lavoro.

Sono le stesse magagne che poi presentano il conto all'intero Paese, sotto forma di una crescita insufficiente a colmare la voragine scavata dalla crisi. Il verdetto del Financial Times è infatti di quelli inappellabili, basato com'è sulle cifre: a fine anno, al nostro Pil mancheranno la bellezza di 6,7 punti percentuali rispetto a com'eravamo 10 anni fa. Con noi, solo Grecia (-24,8%) e Portogallo (-2,4%) non sono riuscite a riemergere. Medaglie al disvalore. Appuntate anche sul nostro mercato azionario, che deve ancora recuperare oltre il 45%. Mentre Piazza Affari arranca, Wall Street vola (+70%). Si direbbero due universi paralleli, destinati a non incrociarsi mai.

Con queste cifre, ciò che snocciola Mediobanca non è sorprendente. Eppure, il dato aggregato nasconde profonde differenze, quelle che separano il settore pubblico (-17,8%) da quello privato, lì dove il terziario ha già superato del 2,8% i livelli 2008, la manifattura (+0,8%) è tornata sopra la linea di galleggiamento grazie alle mid-corporate e i grandi gruppi manifatturieri palesano un muscolare, ma un po' finto, +11,4% frutto com'è del contributo decisivo dell'automobile, ovvero di Fca. Senza il Lingotto il buco nei ricavi rispetto a 10 anni fa è del 6,8%. Del resto, ancora più marcato appare lo stato di salute del business dalla scomposizione per settori dei dati. Dove le situazioni di elevata sofferenza sono lo specchio della crisi tuttora in corso nella carta stampata (-42%), della paralisi quasi totale che ha colpito per anni l'edilizia (-39,2%) e della frenata dei consumi privati (-28,8% gli elettrodomestici). Come nella foto di classe, altri invece hanno un'aria felice: dal conserviero (+25,3%) alle bevande (+22%), dall'automotive (+21,5%) al dolciario (+20%).

In generale, tuttavia, il recupero di redditività continua a essere un miraggio. Nel 2008 il Roi (return on investment) era del 9,7%; nel 2016 è stato del 7,2%. Perfino il made in Italy fatica a riacciuffare (12,4% contro 9%) i livelli di un decennio fa, mentre la forbice appare più divaricata nelle aziende private (dal 10,8% al 7,6%) che nel pubblico (dall'8 al 6,6%). Così, le difficoltà a sostenere la struttura dei ricavi e una profittabilità inferiore hanno determinato un effetto marcato sull'occupazione. All'appello manca un 4,3% in termini di posti di lavoro rispetto a 10 anni fa. Male anche la manifattura (-6,2%), mentre il calo nei grandi gruppi (-3,9%) viene mitigato dall'effetto Fca. Tolto l'apporto del gruppo guidato da Sergio Marchionne la flessione è del 7,3%. Una sola area può vantarsi di aver creato occupazione dal 2008, quella delle medie imprese (+3%).

Insomma, le criticità non mancano. Sono le stesse che hanno segnato anche il 2016, anno in cui le imprese del campione di Mediobanca hanno perso complessivamente, rispetto all'anno precedente, il 2% del proprio fatturato, incassando la quarta flessione consecutiva dal 2013. Un calo, che ha riguardato sia il mercato interno (-2,3%) sia quello relativo all'esportazione (-1,5%), riconducible soprattutto alle imprese del pubblico (-9,7%, quarto calo consecutivo), condizionate dall'andamento dei settori energetico (-7,1%) e petrolifero (-19,5%). Qualche luce non manca, però: viene dal manifatturiero (per lo più a controllo privato), dove i ricavi sono cresciuti dell'1,9% (terzo incremento di seguito, e dalle aziende del terziario (+1,4%).

E l'auto, con una crescita del 9,5% trainata soprattutto da Fiat Chrysler (+7,3%), ha l'aria sorridente di chi nella foto sa già di essere stato promosso.

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