Cronache

Draghi, demoni e principesse: l'arte del tatuaggio giapponese

Claudio Pittan, tra i migliori tatuatori d'Europa, ci guida in un viaggio che esplora la tecnica e lo stile tramandato nei tempi dal lontano Oriente

Draghi, demoni e principesse: l'arte del tatuaggio giapponese

"Questo è il simbolo della perseveranza". Nello studio di via Vetere, nel quartiere Ticinese di Milano, aleggia un silenzio che sa di pace. Claudio Pittan ha appena tirato fuori da un'enorme cassettiera il disegno di una carpa. È rifinita in ogni suo particolare ed è il soggetto principale di un tatuaggio che si appresta a fare sul braccio di un cliente. "Esiste una cascata immaginaria – racconta – tutte le carpe cercano di scalarla per poter trasformarsi in un drago come ricompensa finale. Solo che la cascata è così impervia da affrontare che tutte muoiono". Farsi tatuare una carpa significa imprimersi sulla pelle la volontà di non rinunciare mai alle proprie idee e ai propri sogni (guarda il video).

La cultura giapponese deriva da quella cinese. Poi ha preso una sua personalità durante il periodo Edo. Nello studio di Claudio Pittan si torna a respirare quel sapore di Oriente. Sulle pareti, oltre agli innumerevoli premi vinti nel corso della sua carriera, ci sono i tatuaggi che più gli stanno a cuore. Sono tutte schiene completamente disegnate. Ci sono tigri, samurai e demoni. A vederli sono così affascinanti da togliere il fiato. Ogni lavoro ha richiesto innumerevoli sedute durante le quali, alla fine, è nato un rapporto strettissimo tra tatuatore e tatuato. Capita, infatti, che, mentre sta lavorando, Claudio si metta a raccontare della sua passione per la scrittura (in particolar modo per i racconti di Jorge Luis Borges) o a rivivere vecchi film che lo hanno particolarmente colpito. Diventa così uno scambio di idee incessante, mentre il brusio della macchinetta che incide la pelle va avanti a operare incessante.

Per arrivare a un tale livello di bravura, Claudio non ha solo provato all’infinito soggetti al tempo stesso uguali e diversi tra loro. Ha anche girato il mondo per imparare da vicino la storia del tatuaggio. Tutto ruota sempre attorno all’importanza della tradizione. "L’evoluzione del mio stile è stata continua – ammette lui stesso – ho sempre cercato di migliorare a disegnare e a tatuare, ma soprattutto a capire il significato dei tatuaggi che facevo". Ha iniziato, ovviamente, copiando i grandi maestri giapponesi e andando a "studiarsi" vecchi copioni teatrali o libri di religione buddista. Una ricerca incessante che l’ha portato a elaborare disegni unici e sempre più suoi.

Per ben due volte, Claudio, sei stato premiato quale miglior tatuatore d’Italia. A Milano il tuo studio è ormai un'istituzione...

"Sono ormai trent’anni che sto sul campo..."

Dove nasce questa tua passione?

"Inizialmente, mi sono avvicinato al tatuaggio andando all’estero, insieme ai miei amici, per cercare chi ce li facesse. Al tempo eravamo dei punk-rockers e il tatuaggio era considerato una novità che andava a sfidare la morale pubblica. Solo in un secondo momento è scaturito anche un interesse artistico. Dopo aver studiato all’Accademia delle Belle Arti, mi è sembrato, infatti, di riuscire a fare un lavoro originale e dirompente."

Allora era una novità?

"Assolutamente. La mia idea era poter fare un disegno originale su una persona che fosse l'unica, poi, a portarlo."

Anche se non sono facilmente visibili, tu stesso sei tatuato. A quando risale il tuo primo tatuaggio?

"Avevo diciassette anni."

Lo hai fatto in Italia?

"Sì, erano lavori molto rudimentali che ci facevamo tra amici con mezzi poverissimi. I primi lavori buoni, invece, li ho fatti andando all’estero, in Inghilterra e in Olanda, in studi professionali che mi hanno permesso di avvicinarmi al mondo vero del tatuaggio."

Finché, poi, sei arrivato in Giappone…

"È stato lì che mi son fatto tatuare tutta la schiena da Horiyoshi III, uno dei più grandi maestri della Storia. Lavorava usando ancora la tecnica tebori (scolpire a mano, ndr), ossia incidendo la pelle manualmente con le bacchette e non con la macchinetta elettrica. Da lui non ho imparato lo stile giapponese ma il rispetto per la tradizione e per il cliente."

Tutti i soggetti di questo stile ancestrale sono ricchi di significati. Eppure alcuni rischiano di sfuggire all’occhio di un occidentale. Per esempio, perché uno dovrebbe mettersi addosso i volti di demoni che sono a dir poco inquietanti?

"Non bisogna fermarsi a quell’immagine..."

Cioè?

"La cultura giapponese ha sempre una doppia faccia. E, anche se una volta erano usate come simbolo di quello che non si voleva avere, i demoni raffigurano entità malevole. Per questo, il tatuatore giapponese è solito metterci vicino un disegno positivo in modo da bilanciare il disegno."

Per esempio?

"Per esempio il fiore di loto, che indica la purezza nella religione buddhista, o gli ideogrammi, che sono sillabe sacre da recitare come fossero delle preghiere."

Tra tutti il drago è sicuramente il simbolo più conosciuto. Ma qual è il suo vero significato?

"In Giappone, come in tutta l’Asia, è una creatura divina che simboleggia le forze della natura, e precisamente dell’acqua. Questa figura si trova, infatti, in molti templi a ricordare che questa acqua che pioveva dal cielo poteva essere o un furioso uragano, che bisognava pregare perché si trasformasse in una pioggia benefica e facesse crescere il riso, oppure un vento propizio che spingeva le barche dei pescatori. Anche in questo caso vediamo come la forza della natura possa essere ambivalente e come sia l’uomo a influenzarla con le sue preghiere."

Quale rapporto viene a crearsi tra te e i clienti che si sottopongono a più sedute?

"Nasce quasi sempre un rapporto di confidenza, un rapporto molto stretto che in alcuni casi sfocia anche in un'amicizia."

Cerchi anche di dare consigli?

"Se possono esserci conseguenze negative, tendo a sconsigliare il cliente prima che si faccia fare un soggetto che poi non può cambiare. Per esempio, mi rifiuto sempre di tatuare sulle mani o sul volto."

Perché?

"Nel corso della mia carriera sono venuto più volte a contatto con persone che hanno poi avuto difficoltà a relazionarsi con altre persone o a trovare lavoro. Io stesso sono passato attraverso a diverse fasi della mia vita. Quando sono andato a vivere in Inghilterra o negli Stati Uniti, mi trovavo bene a essere in un ambiente particolare ma con il tempo sono poi cambiato. Tuttavia, se mi rimanesse addosso un tatuaggio che è un segno di questa mia differenza o di estremismo, dovrei continuare a conviverci."

Come viene percepito oggi, in Italia, il tatuaggio?

"Quando ho iniziato io a farli, il nostro Paese era quello, a livello europeo, dove il tatuaggio era visto peggio. All’estero, invece, aveva già una sua collocazione. Adesso la situazione si è ribaltata ed è il Paese dove se ne fanno di più."

Per colpa dei calciatori?

"Sicuramente qualcuno ci ha messo lo zampino...

".

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