Cronache

Dal drogato allo scippatore. Ecco l’identikit di chi uscirà

Altro che soluzione per il sovraffollamento, sarà allarme sicurezza. Anche qualche ex detenuto al 41 bis potrebbe tornare libero

Dal drogato allo scippatore. Ecco l’identikit di chi uscirà

Apriti cella. Le sentenze della Cassazione che hanno stabilito di rivede­re­al ribasso le pene per gli spac­ciatori condannati secondo l’ormai incostituzionale Fini-Giovanardi spalancheranno i cancelli delle patrie galere a qualche migliaia di detenuti, previa richiesta di ricalcolo del­la pe­na da parte dei fortunati in­teressati. Difficile essere preci­si con i numeri: i condannati per reati connessi agli stupefa­centi sono oltre 22mila, e quat­tro su dieci di questo esercito so­no stranieri, ma il dato non di­stingue tra droghe «pesanti» ­escluse dagli effetti della sen­tenza della Suprema corte - e «leggere», come invece fa la nuova legge. Come stima di massima, secondo Donato Ca­pece, segretario del sindacato degli agenti di polizia peniten­ziaria Sappe, dovrebbero torna­re in libertà circa 5-6000 spac­ciatori.

Eppure tanto è bastato per­ché il ministro di Giustizia, An­drea Orlando, salutasse la sen­tenza come un passo verso la de­flazione carceraria, come se si trattasse di un intervento nor­mativo strutturale per risolvere la piaga delle nostre galere. Il problema, invece, è che se è dif­ficile abbozzare un preciso identikit di chi uscirà, è certo che non saranno solo tossicodi­pendenti dediti soprattutto al consumo personale o piccoli pusher occasionali a rivedere la libertà con l’arrivo dell’esta­te.

A farla breve, solo i grandi nar­cotrafficanti dovrebbero resta­re certamente dietro le sbarre. Mentre moltissimi spacciatori ultrarecidivi- gente che si dedi­ca allo spaccio «professional­mente », e che spesso ha alle spalle diverse pesanti condan­ne - potranno avvantaggiarsi della scappatoia offerta dalla sentenza e riconquistare la li­bertà. Anche perché proprio i delinquenti abituali sanno co­me comportarsi in carcere, e vantano una condotta impecca­bile dietro le sbarre come poco significativo «requisito» per tor­nare a lavorare in strada.

A far suonare l’allarme della pericolosità sociale è anche un dato di fatto. Lo spaccio di dro­ga, con la prostituzione, è il ve­ro «ufficio cassa» della crimina­lità organizzata. Quest’ultima vedrà quindi rimpolpati gli or­ganici della manovalanza im­piegata nel business degli stu­pefacenti. Praticamente torne­ranno a operare anche tantissi­mi «bancomat» italiani e stra­nieri di mafia e camorra, men­tre i tagli alle forze di polizia in­deboliscono ancora il control­lo del territorio. Qualcuno ipo­tizza che torneranno a piede li­bero anche alcuni detenuti per spaccio già passati per il 41 bis, il carcere duro, poi passati nei reparti di alta sicurezza e infine trasferiti nelle sezioni ordina­rie. E, presto, in strada.

Un bel pasticcio, insomma, spacciato addirittura per «solu­zione » al sovraffollamento car­cerario, il cui costo sociale sarà certamente superiore al pre­sunto beneficio. Il segretario ge­nerale del sindacato di polizia penitenziaria Osapp, Leo Bene­duci, non se la prende tanto con la Cassazione, ma con il ca­os nel sistema. «A mandare libe­ri gli spacciatori super-recidivi - sospira- non è tanto la senten­za, ma un sistema penitenzia­rio che non rieduca, abdicando alla sua funzione, e che è abban­donato a se stesso, oltre ai tem­pi della giustizia che “vantano” 150mila prescrizioni l’anno». Con un ministro, Orlando, che, prosegue Beneduci, «per le no­tizie che abbiamo si appresta a fare una riforma della Giustizia che terrà fuori sia il carcere che la polizia penitenziaria: niente sul fronte di una migliore fun­zionalità e di un miglioramen­to delle condizioni dei detenuti e del lavoro degli agenti». In­somma, le sentenze del Palaz­zaccio rimetteranno per strada un bel po’ di gente poco racco­mandabile, col risultato che le carceri più vuote oggi possano tornare a riempirsi domani. Ep­pure, se funzionassero meglio, non sarebbero così affollate.

«Perché qualcuno, almeno, riu­sciremmo a recuperarlo - spie­ga Beneduci - e invece si conti­nua a mettere lo sporco sotto il tappeto».

Commenti