Cronache

Un equilibrio precario: Che fine farà il nostro universo?

Guido Tonelli, fisico del Cern: le ipotesi sono un buio freddo o una catastrofe spettacolare

Un equilibrio precario: Che fine farà il nostro universo?

Se si discute poco o nulla della nascita del nostro universo, ancora meno si discute della sua fine. Da tempo sappiamo che il nostro sistema solare non sopravvivrà ai 4-5 miliardi di anni di vita residua della nostra cara stella. Ma quali sono le prospettive di vita dell'universo nel suo complesso? Qual è il suo futuro?
La scienza propone due scenari, entrambi compatibili con tutte le osservazioni fatte finora.
Il primo è quello che fino a qualche anno fa sembrava il più ovvio, da quando si è scoperto che ogni galassia si allontana da tutte le altre a velocità crescente e si è visto cioè che una forma di energia misteriosa domina l'universo intero. Abbiamo chiamato energia oscura questa strana proprietà dello spazio- tempo che, dopo miliardi di anni di espansione delicata e leggera, ha ripreso a soffiare con forza via via crescente.
Le osservazioni di galassie lontane non lasciano spazio al dubbio: la velocità con cui si sta espandendo l'universo aumenta con il tempo, c'è una forma di energia che sembra contrastare la gravità, spingendo tutto lontano da tutto. Se si trasforma in massa questa energia che agita il cosmo, essa contribuisce per circa due terzi alla massa totale.
Se continuerà la sua marcia trionfale, l'accelerazione dello spazio-tempo distanzierà sempre di più le galassie fra loro e creerà enormi zolle di spazio interstellare; l'intero universo continuerà a raffreddarsi finché non ci sarà più energia sufficiente per una qualunque evoluzione, e tutto finirà con un sudario di buio e di freddo che avvolgerà una necropoli di stelle. Uno scenario che crea angoscia e che richiama lo sgomento di Pascal di fronte al «silenzio eterno degli spazi infiniti» o la vertigine di Leopardi davanti agli «interminati spazi» e ai «sovrumani silenzi».
C'è un'alternativa a questa fine deprimente, che ha preso corpo da quando abbiamo scoperto il bosone di Higgs.
Il vuoto elettrodebole, la particolare proprietà conferita al vuoto dal campo scalare di Higgs, gioca un ruolo decisivo nel dare alle cose quella consistenza che ci appare così naturale. È bastato chiedersi che tipo di equilibrio reggesse questa condizione e si è fatta una scoperta strabiliante e inattesa.
La stabilità del vuoto elettrodebole si può studiare usando un grafico che assomiglia a quello che descrive i passaggi di stato dell'acqua: se ne mettiamo un pentolino in freezer congela in ghiaccio, se la riportiamo a temperatura ambiente ritorna liquida, evapora in forma gassosa se la scaldiamo sul fornello. Generalizzando la nostra esperienza quotidiana, sappiamo che i passaggi di stato dell'acqua sono definiti da pressione e temperatura.
Per il vuoto elettrodebole vale qualcosa del genere, solo che il suo stato dipende da due parametri diversi: la massa del quark top e quella del bosone di Higgs.
Appena misurata la massa del nuovo bosone, si è potuto costruire questo grafico, abitualmente diviso in tre regioni, che richiamano il codice dei semafori. Una zona verde che indica l'assoluta stabilità, un equilibrio permanente del vuoto elettrodebole capace di durare in eterno; una regione rossa che segna invece i limiti dell'instabilità, il baratro nel quale nessun universo materiale si poteva formare; infine, una sottile striscia gialla che separa le due zone. Nessuno si aspettava che il nostro vuoto elettrodebole finisse nella zona rossa: quell'avventura di 13,8 miliardi di anni non sarebbe stata possibile; tutti si aspettavano che finisse nella tranquilla zona verde e invece, con grande sorpresa, è finito proprio in quella sottilissima regione gialla al confine fra le due. L'equilibrio è abbastanza stabile da permettere un'evoluzione di miliardi di anni, ma non è perfetto, anzi si potrebbe rompere in qualunque momento.
L'intero universo sembra vivere in una condizione di intrinseca precarietà. Già alla sua nascita, sarebbe bastato poco a rendere tutto totalmente instabile: un bosone di Higgs appena più leggero e la microscopica lacerazione del vuoto primordiale, che si era aperta pochi istanti prima, si sarebbe immediatamente richiusa e tutto sarebbe finito prima ancora di cominciare. Così non è avvenuto, anzi c'è stato il tempo perché si formassero stelle, galassie e sistemi solari, e tutto ci è apparso così ben congegnato da pensare, per molto tempo, che nulla avrebbe potuto rompere questo equilibrio.
Ora sappiamo che non è così: quella esile impalcatura potrebbe cedere di schianto sotto la spinta di una delle spaventose catastrofi che talvolta interessano le galassie più lontane. Se uno dei tanti fenomeni misteriosi che squassano il cosmo sviluppasse energie tali da produrre un collasso locale del vuoto elettrodebole, l'intero universo svanirebbe in un'immane bolla di pura energia.
Ora siamo consapevoli che la meraviglia di mondo materiale che ci circonda, e che abbiamo sempre considerato eterna, sembra danzare, in equilibrio fragile e precario, sul baratro.
Forse vivrà ancora per miliardi di anni, e può darsi che intervengano prima altri fenomeni che oggi non conosciamo, ma tutto potrebbe finire con un'uscita di scena sicuramente meno deprimente e più spettacolare di quella triste morte nel buio e freddo di cui si parlava in precedenza.


Ma anche in questo caso, adesso che abbiamo imparato che l'intero universo si regge su un equilibrio precario che si potrebbe rompere in qualunque momento, vogliamo discuterne le implicazioni? E chi meglio dei filosofi, degli umanisti, degli artisti lo potrebbe fare? Non è certamente lavoro per gli scienziati, ai quali mancano le competenze adeguate e quello sguardo «lungo» che è necessario avere quando cambiano paradigmi che ci hanno accompagnato dagli albori della preistoria.

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