Cronache

Fascisti e antifascisti fanno fuggire gli elettori

La sinistra unita in piazza, ma nessuno crede all'emergenza: in 17 milioni non voteranno

Fascisti e antifascisti fanno fuggire gli elettori

Da Roma a Milano, passando per Trieste, Bologna, Palermo. Mancano otto giorni al voto e per qualche ora la piazza torna geograficamente e urbanisticamente agorà democratica, simbolo della politica vicina al popolo. Per paradosso, questo accade nelle ultime battute di una bruttissima campagna elettorale. Certamente la meno «popolare» di sempre, visto che i comizi di queste settimane si contano sulle dita di una mano mentre non s'è vista l'ombra di un confronto pubblico tra i vari sfidanti in campo. Per non parlare del Rosatellum, la legge elettorale con la quale si voterà per la prima volta il prossimo 4 marzo, certamente «antipopolare» visto che ben oltre il 70% dei futuri parlamentari sono stati decisi dalle segreterie dei partiti e di fatto imposti agli elettori.

È anche per queste ragioni che le tante piazze piene di gente sembrano far fatica a riempirsi di significato. D'altra parte, sono giorni che ci si divide tra fascisti e antifascisti, con il centrosinistra che ha seguito la suggestione di certi intellettuali e ne ha fatto il tema centrale della sua campagna elettorale. Non che l'avanzata dell'estrema destra non sia una questione d'attualità, in Italia come nel resto dell'Europa. Tutt'altro. Dalla Francia alla Germania, passando per Olanda, Grecia e Ungheria, le ultime tornate elettorali hanno fatto registrare in questo ultimo anno un preoccupante balzo in avanti di movimenti xenofobi.

Questo, però, c'entra fino a un certo punto con il ritorno di fascismo e antifascismo a tema centrale del dibattito politico. Così decisivo che ieri il corteo dell'Associazione nazionale partigiani a Roma è stato sezionato per tutto il pomeriggio da cronisti e fotografi che hanno fatto l'appello per sapere chi c'era e chi no. D'altra parte, sono giorni che a sinistra ci si interroga sulla presenza o meno di Matteo Renzi, viste le polemiche che avevano seguito la sua mancata partecipazione al corteo di Macerata di due settimane fa. È finita che c'erano tutti, che non solo il Pd diviso ha sfilato insieme (con tanto di abbraccio tra Renzi e Paolo Gentiloni a favore di telecamere) ma pure la sinistra tutta si è per una volta ritrovata seduta allo stesso tavolo come ai vecchi tempi, prima della scissione e della nascita di Liberi e uguali.

Quella che ha riunito il popolo del centrosinistra, però, rischia di essere una battaglia che guarda più al passato che al futuro, finendo per far scomparire dal dibattito quelle che dovrebbero essere le grandi sfide della politica.

Non è un caso che i sondaggi di questi ultimi giorni continuino a confermare un distacco siderale tra la politica e la società, giovani in particolare. E il 4 marzo potrebbe certificare una disaffezione senza precedenti, almeno stando alle ultime rilevazioni pubblicate. Secondo Demopolis, per esempio, l'astensione arriverebbe al 37% contro il 25% delle elezioni del 2013. Così fosse, vorrebbe dire che in cinque anni ben cinque milioni di italiani hanno deciso di non dare alcun credito all'attuale classe politica. Con gli astenuti che dai 12 milioni del 2013 schizzerebbero a quota 17 milioni. Un dato impressionante e senza precedenti. Ancor più preoccupante nelle motivazioni. Il 53% degli intervistati, infatti, dice candidamente che «la politica non riesce più a incidere sulla vita reale delle famiglie».

Praticamente una certezza per i più giovani, visto che quasi la metà degli under 25 (il 48%) non ha alcuna intenzione di votare.

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