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Finta rissa "centrista" fra i due Matteo

Salvini e Renzi, lite farsa in televisione per cercare i voti dei moderati

Finta rissa "centrista" fra i due Matteo

I niziano incerti se darsi del «tu» o del «lei» e finiscono con qualche scintilla sulle rispettive carriere politiche, il Papeete, il Russiagate e i 49 milioni della Lega. Ma solo a tardissima sera, quando ormai la sfida nel «ring» di Porta a Porta si è sostanzialmente consumata. Rimane deluso, insomma, chi si aspettava un incontro di boxe in piena regola e si è invece trovato ad assistere a quella che è sembrata una via di mezzo tra un'allegra serata di wrestling e una partita celebrativa tra vecchie glorie.

I due Mattei, infatti, giocano praticamente da soli tutta le serata, con Bruno Vespa che decide scientificamente di lasciarli condurre le danze. Per quasi un'ora, però, il confronto resta quasi etereo, scollegato dalla quotidianità di queste ore. Pochi riferimenti alle vicende del momento, non una parola sulla legge di Bilancio che proprio ieri sera era all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri e solo un passaggio sollecitato su Giuseppe Conte, il grande nemico di entrambi gli sfidanti. Per molti minuti sembra quasi di assistere a un dibattito fuori dal tempo, non necessariamente collocato in un momento preciso.

D'altra parte, è soprattutto essere sul ring che conta. Perché i due Mattei pur essendo su posizioni distanti e con i sondaggi che li vedono lontanissimi l'uno dall'altro hanno però molti obiettivi in comune. Primo fra tutti, accreditarsi come i leader dei rispettivi schieramenti. Il che per Renzi comporta il farsi percepire come alternativo al leader della Lega. Ecco perché il solo fatto che il confronto vada in scena è di per sé un successo. Pure Salvini guarda alla leadership, ma lo fa con un centrodestra che è ancora in movimento e con una legge elettorale che potrebbe far tornare determinante il centro. E un candidato premier che ambisca a essere federatore di una coalizione o comunque a rappresentarla non può essere percepito come troppo spostato a destra. Ed è forse per questo che l'ex ministro dell'Interno incassa i colpi quando Renzi lo attacca frontalmente. È l'ex premier, infatti, a cambiare passo, a provare a mette in difficoltà il suo competitor con affondi mirati. Attacca sulla lunga carriera politica di Salvini, iniziata come consigliere comunale nel 1993 «quando ancora c'erano le lire e quando Di Maio andava alle elementari». E poi insiste sulle contraddizioni del leader della Lega, che «prima era per la Padania e ora è nazionalista», «prima era comunista e frequentava il Leoncavallo e adesso va a braccetto con Casapound», prima «era No euro e adesso è per la moneta unica». Un filotto a cui l'ex ministro dell'Interno risponde solo con qualche sospiro, difendendosi per ben tre volte con argomenti non propriamente scoppiettanti come «vabbé, allora sono io quello brutto e cattivo».

Oggi si dirà che la sfida, magari solo ai punti, l'ha vinta un Renzi che si è presentato decisamente più preparato su temi, numeri e precedenti. Con un Salvini che più di una volta ha buttato la palla in tribuna, rifugiandosi nella sua comfort zone, cioè il sempre verde tema dell'immigrazione. Il punto però è capire se quella del leader della Lega è stata una scelta di necessità o una mossa tattica consapevole. Perché se l'obiettivo è tenersi aperto uno spiraglio verso il centro, riequilibrare una Lega che da molti è percepita come troppo a destra - non solo in parte dell'elettorato, ma anche a Bruxelles, nelle cancellerie europee e in un pezzo importante del ceto produttivo la linea tenuta dall'ex vicepremier potrebbe non aver convinto gli addetti ai lavori ma risultare estremamente efficace.

E proporre un Salvini meno aggressivo e più affidabile anche per chi lo guarda con gli occhi del centro del centrodestra.

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