Cronache

La folle idea che l'affettività si insegni a scuola

La Giannini annuncia le linee guida di un progetto aberrante: bogliono burocratizzare anche l'amore

La folle idea che l'affettività si insegni a scuola

Cos'è l'«educazione all'affettività»? Per capirlo diamo un'occhiata al suo contrario: la «maleducazione affettiva». Eccone un bell'esempio: «Il governo presenterà entro ottobre le linee guida sull'educazione all'affettività nelle scuole italiane». L'ha detto il ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini. È una frase «affettivamente maleducata», perché l'affettività è personale: sono i tuoi affetti, i tuoi sentimenti. Roba delicatissima, da cui dipenderanno le tue relazioni, buona parte della tua vita. Che il ministro dell'Istruzione si ponga il problema dell'affettività degli studenti e non solo delle date delle battaglie, va bene. Ma, se educazione ha da essere, bisogna parlarne nello stile delicato e attento degli affetti e dei sentimenti. Se diventa esercizio di potere del governo sugli studenti e sulle loro emozioni, esercitato con «linee guida» e altri orpelli governativi (non proprio una palestra di affettività) fa solo accapponare la pelle.

Se si conosce poi, in quanto ex studente della scuola italiana, la sua capacità di intellettualizzare e mentalizzare anche i battiti del cuore, viene in mente la fulminante notazione del poeta e pittore William Blake: «Solo il pensiero crea mostri, non gli affetti». E il primo mostro, naturalmente è linguistico: appunto il ministerialese con cui si annuncia l'arrivo dell'«educazione affettiva», e dei suoi burocrati-insegnanti.

L'idea che il più prezioso tesoro dei bambini e degli adolescenti, i loro sentimenti, diventino strumento per stortare personalità adesso e raccogliere voti dopo, conferma ancora una volta la genialità del filosofo Michel Foucault, che avvertiva che non ci fu epoca il cui il potere della politica fosse così invadente e repressivo nel confronti dell'individuo. «Biopotere», lo chiamava, come i comunicati del ministro Giannini.

Eppure la questione esiste, eccome. Vi ricordate Robin Williams in L'attimo fuggente, quel fantastico maestro che faceva salire gli studenti sui banchi per declamare in classe le poesie di Walt Whitman? Be', quella era «educazione all'affettività». Non idee e programmi governativi: poesie, affetti, lacrime, entusiasmi. Fatta anche a scuola, com'è giusto. Il contrario dell'ortopedia dell'anima (Foucault dixit), promessa nei comunicati ministeriali. Questa annunciata ora dal ministro sembra molto diversa anche da quell'affective education cui si guarda già da molti anni nelle scuole anglosassoni, con ben altri toni (appunto) affettivi. Lì si insiste sulla necessità di aiutare gli studenti a riconoscere le proprie emozioni, sentimenti e aspirazioni come guida per capire quali possano essere i loro obiettivi nella vita. Per metterli in grado di costruire poi una formazione piena, che realizzi non solo la loro testa, ma anche l'affettività, il loro cuore. Quelle non sono linee guida ministeriali, ma visioni educative, aiuto alla scoperta del rispetto e affetto per sé (indispensabile a quello per gli altri), non bigini del politicamente corretto.

Questi ultimi, invece, oltre a essere affettivamente maleducati, potrebbero avere effetti devastanti. Se dici al bullo che è cattivo, e lo isoli dagli altri, può diventare un delinquente. Se lo ami, e lo commuovi, può anche imparare ad amarsi. Ma occorre, appunto, educazione, non manierismo. Emozione, non calcolo. Ci vuole anche un bel po' di poesia. Affettivamente educativo è poi anche il teatro a scuola, come sanno bene i ragazzi di San Patrignano. E la pittura. Senza dimenticare (come stanno scoprendo le scuole inglesi più attente alle neuroscienze) un sacco di esercizio fisico che interrompa le ore di discorsi astratti che fanno diventare cattivi. Perché l'educazione sentimentale passa dal sangue, dal cuore e dai suoi battiti. Ti insegna ad ascoltarli.

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