Cronache

A fuoco la favela degli immigrati Siamo al caporalato di Stato

A fuoco la favela degli immigrati Siamo al caporalato di Stato

Acqua o fuoco. Ecco le speranze che offriamo ai migranti. Altro che salvataggio. Il Gran Ghetto di Rignano è il luogo simbolo della contraddizione insanabile dell'immigrazione in Italia, un buco nero cresciuto nell'indifferenza generale e che solo andando a fuoco può fare luce sull'ignobile traffico a cui l'Italia, come Paese, si sta prestando. Per capire spostate l'inquadratura sulla stampa straniera. Gli articoli sulla generosità dei lampedusani, per altro innegabile, sono roba vecchia, archiviata. Ormai dappertutto, tranne che sui media italiani, si legge con chiarezza dei traffici innominabili di cui sono vittime e partecipi i migranti che sbarcano in Italia accompagnati dalle nostre lacrime ipocrite direttamente nelle mani di chi sfrutta la prostituzione delle donne e le braccia da lavoro degli uomini. L'instancabile lavorio delle navi militari e delle Ong che caricano gli stranieri dai gommoni e li traghettano in Sicilia è la corta coperta ideologica per coprire, sotto la parola d'ordine dell'accoglienza, i business più infimi. Sbarcano e finiscono nei campi gestiti dalla spietata industria della solidarietà (solo il 20 per cento è ospitato in centri Sprar che rispettano i canoni di una vera accoglienza).

La maggior parte non ha diritto all'asilo e finisce nel circuito criminale, a battere il marciapiede o in ghetti agricoli come quello di Rignano. Qui duemila persone ridotte praticamente in schiavitù, sgobbano tra le piante di pomodoro a due euro l'ora se va bene. Poi arrivano gli incendi, ce n'era stato un altro a febbraio, o la morte di fatica. Le missioni cosiddette di «salvataggio in mare», cosiddette perché a chiamarle così si tende a dimenticare che da anni muoiono annegate in media 3-4mila persone l'anno, non fanno che alimentare questa filiera. L'indifferenza e l'ipocrisia con cui si evita ogni serio passo per interrompere questo meccanismo diabolico merita un solo nome: caporalato di Stato. E chi si sente davvero di sinistra dovrebbe riflettere su cosa sia più progressista: abbracciare i valori di una solidarietà omicida, chiudendo gli occhi magari perché parte del business dell'accoglienza nutre tante cooperative cattoliche e di sinistra, oppure rimettere in discussione i dogmi dell'immigrazionismo. Chiedendosi magari perché si fanno decreti d'emergenza per aprire i centri d'accoglienza ma il decreto flussi per l'immigrazione legale tarda ad arrivare. Chissà, forse quei morti di Rignano non saranno stati inutili se serviranno davvero a inceppare questi ingranaggi.

Sarebbe davvero simbolico se la battaglia contro il caporalato di Stato partisse da quelle stesse campagne pugliesi dove un uomo di sinistra, il sindacalista Giuseppe Di Vittorio, lanciò la sua lotta contro il caporalato dei padroncini.

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