Cronache

Il generale Franco Angioni: "Non rischiamo attentati perché siamo diversi dalla Francia"

Il generale, intervistato da ilgiornale.it: "I terroristi che hanno attaccato Francia e Inghilterra erano cittadini regolari. Queste miserie derivano dal colonialismo"

Il generale Franco Angioni: "Non rischiamo attentati perché siamo diversi dalla Francia"

Sotto gli stucchi di Palazzo Cusani, a Milano, si è tenuta la presentazione del libro La strategia del tango, scritto da Paolo Restuccia ed edito da Gaffi editore. La scelta della location non è stata affatto casuale in quanto il protagonista del romanzo - Ettore Galimberti - è un alpino. Meglio: Ettore è prima di tutto un uomo comune, forse anche un po' ingenuo e, poi, un alpino. Moltissime le stellette presenti alla presentazione del libro. Tra loro il generale Franco Angioni, già comandante del contingente italiano nella missione di pace "Libano 2". Secondo il generale, "l'opinione pubblica parla di forze armate a senso alternato. Noi abbiamo bisogno dell'Esercito come assicurazione, ma dobbiamo usarlo il meno possibile".

Generale, partiamo da lontano. Quali erano le regole di ingaggio in Libano?

Potevamo fare tutto ciò che era previsto nel compito. Il problema era che, però, mancava lo scopo. Inizialmente, saremmo dovuti partire come operazione della Nazioni Unite. L'Italia e il Parlamento - dove l'opposizione era decisa a non inviare nessun soldato italiano - decisero però per un profilo basso.

Poi è tornato. Cosa è successo?

Quando sono tornato dal Libano mi volevano mandare a Modena per forgiare lo spirito dei giovani dell'Accademia. Ma io volevo stare a Roma perché mi sembrava più utile, anche perché chi sceglieva l'Accademia ero già motivato. A quell'epoca ero anche il responsabile della Rivista militare, una rivista patinata bellissima, che però trattava anche di cose poco interessanti. Un giorno Berlinguer dichiarò che si sentiva più tranquillo sotto la Nato rispetto che sotto al Patto di Varsavia. Mi ricordo che andai dal Capo di Stato Maggiore e gli dissi: "Intervistiamo Berlinguer, ci vado io". Mi disse di no. Poi mi volevano i carabinieri, i servizi segreti e la Guardia di Finanza, ma a questi ultimi due ho detto di no perché io mi ero arruolato per guardare il nemico negli occhi.

Lei ha lavorato anche con Armani, per motivare i suoi manager. Lei si sente un imprenditore?

Io mi considero - immodestamente - un manager. Un individuo che comanda 50mila uomini, se non ha una concezione manageriale, non è in grado di gestirli realmente.

Ha mai avuto perdite?

Una, in Libano.

Ha sofferto?

La vita militare deve portare il rischio il più vicino possibile allo zero. Si viaggia in elicottero, di notte. Il rischio è necessario, ma è la maturità che fa i comandanti e che aiuta a diminuire la percentuale di rischio. Non si può fare il generale a 25 anni. L'esperienza può variare, ma non si è maturi al di sotto dei 30 anni. Per comandare ci vuole quindi un accumulo di esperienza.

Le vittime dei nemici, invece, come le vede?

I militari non hanno un nemico, ma un avversario. Il nemico è un fatto personale. In Libano ci hanno sparato e abbiamo reagito. Ma non ho mai pensato che fossero nemici. Il militare onora il nemico perché c'è un rapporto di lealtà che permette l'uso delle armi. Ci sono periodi storici in cui questa differenza si perde, come ad esempio durante le guerre civili, che non dovrebbero fare i militari perché non possono essere deviati. Durante il peacekeeping il soldato deve mantenere un'etica del comportamento.

Poi ha fatto politica, con l'Ulivo. Cosa pensa dei politici?

I politici sono indispensabili, come la politica. I politici non idonei sono però una iattura. È incredibile venire a sapere che un deputato ha rubato. Io l'esperienza politica l'ho fatta, ma ci sono rimasto male. Io per 47 anni ho servito la Patria, applicando le leggi anche quando non mi piacevano.

Come è entrato in politica?

All'epoca Veltroni si stava candidando a sindaco e allora io gli ho detto che sarei stato disposto a dargli una mano. Lui poi mi ha proposto di candidarmi alla Camera, come indipendente per l'Ulivo. Sono stato candidato nella circoscrizione in cui abito e ho preso 63mila voti.

Ma lei quindi è un generale di sinistra?

I paracadutisti mi definiscono così perché sono stati parecchio delusi. Adesso non tanto, ma prima il 70% della Folgore era del Movimento Sociale perché in passato l'unico partito che parlava di Patria e di Esercito era l'Msi e i paracadusti ne erano affascinati.

Passiamo ora ai tempi nostri. Lei, in passato, si è occupato dell'immigrazione dall'Albania, riuscendo anche a sanare questa emergenza. Ora, però, più voci ci avvertono che tra i disperati che arrivano in Italia con i barconi ci potrebbero essere anche dei terroristi. Questo, secondo Lei, è uno scenario possibile?

Intanto è bene fare una precisazione. Queste persone che vengono dall'estero in maniera non ortodossa possono essere rifugiati o migranti. Ai rifugiati dobbiamo aprire le porte e dobbiamo fare il possibile per proteggerli. I migranti non sono in queste condizioni e devono poter esser collocati nei Paesi che hanno la possibilità di accoglierli. Bisogna aver chiaro questo particolare. Ciò su cui possiamo quindi discutere sono i migranti. Tra di loro possono esserci anche infiltrati dello Stato islamico o di altre organizzazioni.

Nell'ultimo anno la Francia è stata colpita dai terroristi due volte. In passato sono state colpite anche l'Inghilterra e la Spagna e la Tunisia. L'Italia sembra al sicuro. Perché?

Perché noi siamo diversi - diversi, non migliori - da queste nazioni. I terroristi che hanno attaccato questi Paesi erano tutti cittadini regolari. Tutte queste miserie attuali sono una conseguenza del colonialismo e dei Paesi colonizzatori che poi hanno abbandonato gli Stati colonizzati. In Somalia non c'è alcun accanimento contro gli italiani. Abbiamo occupato delle terre ma abbiamo dedicato ai somali molto. Noi non volevamo incamerare beni, ma inviare italiani. La Libia era considerata una quarta sponda dove far confluire gli italiani che emigravano in America.

La Libia era territorio metropolitano.

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