Cronache

"Ecco perché il Morandi, per me, è stato il ponte della vita"

Nel primo anniversario della tragedia del Ponte Morandi di Genova un inno alla vita da parte di chi ha conosciuto il dolore

"Ecco perché il Morandi, per me, è stato il ponte della vita"

Nel giorno della commemorazione delle vittime del crollo del Ponte Morandi, la mia testa e il mio cuore vanno a Genova. La città di Cristoforo Colombo, Fabrizio De Andrè e Paolo Villaggio, io la porto davvero nel cuore, come se fosse una seconda casa.

Per me il Ponte Morandi non è e non sarà mai il “ponte della morte”. A me quel ponte ha portato alla vita. Una vita che molti, 36 anni fa, quando nei miei primissimi giorni di vita atterrai all’aeroporto di Genova, davano per finita ancor prima che iniziassi a viverla. Avevo una grave cardiopatia congenita e, ovviamente, non è stato il Ponte Morandi a curarla ma i cardiologi e cardiochirurghi dell’ospedale pediatrico Giannina Gaslini. Non voglio trascrivere qui la mia cartella clinica né addentrarmi nelle responsabilità politiche del crollo di quel viadotto. In un giorno triste come questo il mio pensiero è rivolto alle 43 vittime di quella immane tragedia ma non ci sto a ricordare quel luogo solo come un luogo di morte. Per i primi 17 anni della mia vita sono dovuto tornare più e più volte a Genova per motivi di salute e spesso ho attraversato quel viadotto che, per me, ha fatto da “ponte per la vita”. Se il 25 maggio del 2000 i medici del Bambin Gesù di Roma mi hanno salvato con un trapianto di cuore è merito di chi mi operò a cuore aperto, quando aveva appena compiuto un anno. Dopo quell’intervento ne sono succeduti tanti altri e, ad accompagnarmi in questo viaggio verso la vita è stato il Ponte Morandi. Così è stato sicuramente per tanti altri bambini nati negli anni ’80 e nelle decadi successive perciò chi oggi piange di dolore sappia che molti genitori, arrivando a Genova attraverso quel viadotto, hanno pianto anche di gioia.

Genova è stata ferita in tante occasioni. Le alluvioni causate dai suoi torrenti sono ancora vive nel cuore dei genovesi che hanno sempre saputo rialzarsi, con lo stesso orgoglio e la stessa tenacia che hanno portato Colombo a scoprire l’America. Forse si è costruito troppo e non sempre in maniera corretta, nessuno lo vuol negare ma “la Superba” ha un fascino che nessun cataclisma naturale o causato dall’incuria dell’uomo può distruggere. Vi sono ritornato per turismo, o meglio per somma gratitudine, appena due mesi fa e ho evitato accuratamente di andare sul luogo del crollo. Il dolore per quel che è successo il 14 agosto dell’anno scorso deve diventare virale non sui social ma nella mente di chi ha costruito quel ponte, di chi lo doveva controllare e di chi lo ricostruirà. A me resta il ricordo di un recente week-end trascorso tra le vie di Boccadasse, i “carruggi” del centro e l’area del Porto Antico ideata da Renzo Piano per le “Colombiadi” del 1992.

Ora spetta di nuovo a lui, uno degli architetti più famosi e stimati al mondo, ricucire quest’ennesima ferita. Nella speranza che non fallisca in questa importante impresa, chiudo questo mio breve intervento con le uniche due parole che oggi dovremmo gridare tutti: Forza Genova!

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