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Il ghetto dell'illegalità

Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, come buona parte della nouvelle vague radical chic del Pd, ogni volta che si presenta un fatto di cronaca nera che chiama in causa un extracomunitario tenta di svicolare, o, peggio, ne parla con fastidio

Il ghetto dell'illegalità

Sarà solo un'impressione, ma il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, come buona parte della nouvelle vague radical chic del Pd, ogni volta che si presenta un fatto di cronaca nera che chiama in causa un extracomunitario tenta di svicolare, o, peggio, ne parla con fastidio. Quasi che il tema della sicurezza sia per principio un tema di destra, un feticcio agitato dai mondi contrari all'accoglienza. È una reazione sbagliata che spesso si trasforma in un boomerang, perché solo un osservatore superficiale o ubriaco di ideologia non comprende il forte nesso che lega proprio la sicurezza all'accoglienza.

Di fronte a episodi come l'accoltellamento di sei persone da parte di un immigrato che aveva chiesto la protezione speciale in Germania, o, ancora, allo stupro di due giorni fa ad opera di un irregolare marocchino di cui è stata vittima una turista, nessuno può negare - non fosse altro per onestà intellettuale - che la Stazione Centrale si è trasformata in un ghetto criminale. Far finta di niente, sottovalutare o prendere dei provvedimenti in ritardo non aiuta, perché la Stazione è il biglietto da visita di Milano e le cronache a lungo andare creano una nomea che finisce per penalizzare la città. Il fatto poi che già solo nel capoluogo lombardo, per non parlare del resto del Paese, si aggirino 50mila «fantasmi», cioè immigrati clandestini, pone una questione più generale che merita una riflessione: è proprio la condizione di insicurezza ad alimentare quei rigurgiti di xenofobia e diffidenza verso l'accoglienza che non appartengono alla storia e alla cultura del nostro Paese.

I due problemi sono connessi come non mai. E la politica dello struzzo finisce per essere complice di chi fa tutto un mazzo degli immigrati, anche quelli onesti, per suscitare il rigetto dell'opinione pubblica. Può sembrare paradossale, ma è così. Ecco perché curare con attenzione la politica di sicurezza, aumentare la presenza dello Stato nelle stazioni, restringere la protezione speciale, rimpatriare i delinquenti, contrastare o, almeno, fare un'operazione di dissuasione nei confronti dei clandestini, serve a favorire e ad ampliare i flussi di immigrazione legale e a promuovere l'integrazione.

Sono tutte esigenze che si sposano con una visione pragmatica, l'unica possibile, del problema. Specie in una fase come l'attuale in cui gli sbarchi si stanno moltiplicando e stanno assumendo le proporzioni di un esodo verso le nostre coste.

Rimuovere tutti questi problemi affidandosi al buonismo di maniera, che è nel Dna di questo Pd, può aiutare nella retorica di salotto, in qualche talk-show a sfondo progressista, nel mondo delle Ong o nelle piazze di un solo colore in cui l'immigrazione è uno strumento per affibbiare agli avversari un'immagine razzista, ma mina nel profondo ogni politica di integrazione.

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