Cronache

A Gorizia, l'ultimo rifugio ​degli immigrati d'Europa: "È l'Eldorado d'Europa"

In città arrivano da tutto il Continente per ottenere il documento negato altrove: "Ci hanno detto che è più facile". I tempi sono lunghi, ma intanto sono ospitati in albergo

A Gorizia, l'ultimo rifugio ​degli immigrati d'Europa: "È l'Eldorado d'Europa"

Il corso principale di Gorizia è semideserto, spazzato dal vento gelido che scende delle Alpi giulie. Qualche ciclista infreddolito, poche anziane signore con le borse della spesa. Poi, quasi per caso, un paio di ragazzi dai tratti asiatici. L’aria stranita, stretti nei giubbotti, ai piedi le scarpe da tennis o le infradito, assurde in questo clima freddo.

Sono loro l’obiettivo del nostro reportage: i profughi afghani e pakistani che da mesi affollano il capoluogo isontino. Qualche altra decina di metri ed ecco gli stranieri si fanno sempre più numerosi. Girano a gruppi di due o tre, si riuniscono sulle panchine del parco, indaffarati a controllare i loro smartphone.
Nell’intera provincia sono ormai più di cinquecento. Numeri che non bastano certamente per parlare d’invasione, ma che fanno comunque riflettere. Soprattutto se si considera che la maggior parte arrivano non direttamente da Pakistan e Afghanistan, ma da altri Paesi europei ben più ricchi del nostro. Gran Bretagna, Danimarca, Norvegia. Perché? Perché lasciare lavoro e famiglia per le sponde dell’Isonzo?

La risposta la dà il sindaco Ettore Romoli: “Gorizia è ormai l’Eldorado dell’asilo”. La gran parte degli stranieri, infatti, è qui con un obiettivo preciso: il riconoscimento dello status di rifugiato. Secondo i dati della polizia, nel 2013 le domande d’asilo a Gorizia erano 219; nel 2014, 542. Nel primo mese del 2015 sono già 124: in prospettiva, quest’anno saranno ben più di mille. E la maggior parte, racconta il segretario provinciale del Sap Angelo Obit, arriva da un altro Paese Ue, dove si è vista negare la richiesta d’asilo.

Come arrivano in Italia?

“Il regolamento europeo sull’asilo prevede che lo Stato competente è il primo stato dove lo straniero mette piede – spiega Obit - Il 90% di quelli che vengono a Gorizia ha già chiesto asilo o è transitato prima da altri Stati Ue.” La legislazione europea in merito è regolata dal regolamento “Dublino III”. Che spiega, al capo VI, come un richiedente asilo che prova ad inoltrare la domanda in uno Stato europeo dopo essere già stato respinto da un altro Paese, dovrebbe essere riaccompagnato nel primo Stato. Per riaccompagnarlo esiste però un limite temporale di due mesi, oltre il quale la competenza passa al secondo Stato: in questo caso l’Italia.

E qui si scopre l’inghippo: perché, mentre i richiedenti asilo che dall’Italia vogliono passare in Germania o in Austria vengono fermati alla frontiera oppure riaccompagnati nel Belpaese in tempo praticamente reale, il processo contrario si perde tra mille difficoltà e lungaggini amministrative. E così la responsabilità ricade sempre sull’Italia.

E chi arriva direttamente dall'Asia?

Per rispondere a questa domanda entrano in gioco altri fattori. Necessariamente tecnici, ma la cui spiegazione è necessaria. Anzitutto l’applicazione della cosiddetta “convenzione sui rimpatri”, dell’Unhcr, l’ “IFA”, acronimo per “Internal Flight Alternative”. Una serie di linee guida stilate dall’Onu che i singoli Stati sono liberi di adottare o meno: Paesi come Gran Bretagna e Danimarca, ad esempio, non si fanno problemi a rimpatriare in Afghanistan o in Pakistan quei richiedenti asilo la cui domanda è stata rifiutata. Ovviamente nelle zone in cui la minaccia per la vita dei profughi non sia a rischio. L’Italia, invece, non rimanda a casa nessuno. I profughi lo sanno e cercano la salvezza sul nostro territorio.

Perché venire proprio a Gorizia?

Qui la risposta è più delicata: fino a pochi giorni fa la città isontina era sede dell’unica commissione territoriale che valutasse le richieste d’asilo dell’intero Triveneto. Sottoposta a un’immensa mole di lavoro, aveva inevitabilmente tempi molto lunghi: ci sono profughi che aspettano una risposta ormai da diversi mesi.

E i profughi che dicono?

Quando visitiamo il centro Caritas cittadino, i richiedenti asilo ci accolgono di buon grado. Hanno vent’anni e tanta voglia di parlare. Spiegano con candore di venire a Gorizia “perché qui ci sono più possibilità di ottenere l’asilo”. Qualcuno ammette di avere cercato informazioni su Internet e attraverso il tam-tam tra connazionali. Ma è lo stesso Don Paolo Zuttion, responsabile della Caritas goriziana che per i profughi è un punto di riferimento, a suggerire l’esistenza di una rete internazionale che indirizza il flusso dei richiedenti asilo verso il Friuli: “Sarebbe addirittura un gruppo di avvocati inglesi a spingerli verso Gorizia. Dicono loro che in Italia è più facile ‘passare’. E loro, naturalmente, vengono.”

La città d’altro canto è accogliente, i profughi non creano problemi alla popolazione. Per le vie del centro, i goriziani sono concordi nel dire che “un problema di sicurezza non c’è.” A far discutere sono le sistemazioni dei profughi, che in alcuni casi sono alloggiati negli alberghi cittadini. Molti masticano amaro, quando vedono gli afghani rientrare in hotel.

Tra i più lesti ad intercettare questo umore, i militanti di Casa Pound. Quando li incontriamo in un bar davanti al monumento ai caduti della Decima Mas, tengono a mettere in chiaro un concetto: niente razzismi, ma in momenti di crisi devono venire prima gli italiani. Le garanzie previste dalle norme internazionali sulla protezione vengono viste come privilegi.

Loro, i profughi, non sembrano rendersene conto. Sono a Gorizia per ottenere lo status di rifugiato; poi, molto probabilmente, se ne andranno. La Germania e i Paesi scandinavi sono ben più attraenti, quanto a opportunità di lavoro e welfare state. Nel frattempo però, tocca aspettare.

Il vento delle Alpi sarà gelido, ma la strada per l’asilo passa di qui.

Commenti