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Dai selfie alla fuga dal Palazzo: una ritirata lunga cinque mesi

Nessuno mette la faccia sul Def-disastro. E l'occupazione cala

Dai selfie alla fuga dal Palazzo: una ritirata lunga cinque mesi

Sei mesi dopo aver festeggiato la «manovra del popolo» arringando le genti dal balcone di Palazzo Chigi, finisce con il governo che svicola da un'uscita secondaria pur di non mettere la faccia su un Def che certifica una crisi economica ormai ineluttabile. Sei mesi, tanto è durata la ritirata di Conte, Di Maio, Salvini e dello stesso Tria che, se oggi si erge a «custode» dei conti, ancora a febbraio si prestava alla truffa delle «rosee previsioni» per il 2019. Solo sei mesi. E dall'annunciata «fine della povertà» - celebrata dal leader del M5s con il ghigno di chi la sa lunga tra gli applausi dei militanti in piazza Colonna - si è piombati nel silenzio più assoluto. Quello di martedì sera, quando - a memoria non era mai successo prima - nessun esponente del governo ha ritenuto opportuno presentarsi nella sala stampa di Palazzo Chigi per illustrare il Def. I giornalisti, increduli, sono rimasti in attesa fino a dopo le 21.30, quando sono state spente le luci degli spazi riservati alla stampa per invitarli cortesemente a togliere le tende.

Insomma, pur essendo il Def l'atto programmatico più importante di un esecutivo (il primo del governo Conte, visto che quello del 2018 fu solo «tendenziale»), premier e vicepremier hanno ritenuto di trattarlo alla stregua di una leggina regionale. E tanto è drammatica la situazione dei conti che questa volta né Salvini né Di Maio hanno scelto i soliti canali di comunicazione social, più diretti e affini ai due giovani leader, ma anche più garantiti perché non si rischia di incappare in domande scomode.

Zero tweet, nessuna diretta Facebook, niente comunicati stampa. Il silenzio assoluto. Che certifica, a soli sei mesi da quando sul balcone celebravano «la fine della povertà», la ritirata. Da quel balcone, è evidente, devono essersi sporti troppo e troppo pericolosamente. E hanno finito per schiantarsi al suolo.

Un tonfo silenzioso, nel tentativo di mettere la sordina ai tragici numeri del Def che certificano il fallimento di questo governo sul fronte della politica economica. La crescita prevista a dicembre all'1% è crollata in soli cento giorni allo 0,2%. E pure il rapporto deficit-Pil ha subito una profonda contrazione. Dal 2,04% strappato a Bruxelles a dicembre al 2,4%. Con buona pace dei guru della comunicazione di Palazzo Chigi, che avevano contrattato con l'Ue quel curioso decimale - 2,04 - nella speranza di veicolare un messaggio in cui con un veloce riferimento al «2 e 4» si potesse glissare sullo «0». Puntavano all'assonanza per lenire la retromarcia arrivata alle porte di Bruxelles.

Solo dopo quasi 24 ore Di Maio e Salvini hanno fatto sentire la loro voce. La voce del giorno dopo. Ieri i due vicepremier hanno incontrato per due ore Conte proprio per fare il punto sull'economia. E - questo recita la velina uscita da Palazzo Chigi - hanno ragionato sulle misure per attuare «la fase due del programma di governo». Ancora una volta, dunque, il governo del cambiamento appare sempre più simile a quelli del passato. Chissà che dopo la «fase due» non spunti fuori l'idea di una «cabina di regia» oppure un bel «comitato ristretto». Tutte espressioni vuote che hanno il solo obiettivo di addensare la nebbia su un'azione di governo che ad oggi sta portando la nostra economia verso il baratro.

Non è un caso che l'Unione europea - con il commissario Moscovici e con il vicepresidente della Commissione Dombrovskis - ci abbia fatto sapere che dopo le Europee del 26 maggio i nostri conti torneranno sotto osservazione e che il rischio di sanzioni è piuttosto alto. Ma, volendo usare un'altra espressione da vecchia politica, magari in quei giorni saremo già alle prese con un rimpasto o, chissà, con una crisi di governo.

Adalberto Signore

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