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Grillini inaffidabili: il partito in mano agli estremisti

Nel partito ormai comanda l'ala dei fanatici. Di Maio accerchiato: non riesco a gestirli e a far votare lo scudo

Grillini inaffidabili: il partito in mano agli estremisti

Sfogo di un grillino di governo, di stretta fede «dimaiana», contro gli «invasati» del movimento. Seduto su una poltrona di Montecitorio, con un'espressione corrucciata, Gianfranco Di Sarno, eletto a Portici, confida tutto il suo disagio. «Ieri racconta sono andato dal capo della segreteria di Di Maio, Dario De Falco, e gli ho detto che non sono più disposto ad assecondare questo suicidio assistito. Non possiamo stare dietro a quei quattro pazzi, capitanati da una (Barbara Lezzi, ndr) che mischia questioni ideologiche al rancore perché è stata trombata al governo. Una che la volta scorsa è diventata ministro senza meriti, più o meno come chi vince una lotteria. Quel gruppetto che ha bocciato lo scudo penale per gli attuali gestori di Ilva, dimenticando che senza una tutela del genere non troveremmo mai un povero Cristo pronto a fare il Commissario se ArcelorMittal dovesse mollare l'azienda. Pure Luigi (Di Maio, ndr) ha commesso errori: se ne è andato al governo lasciando i gruppi parlamentari incustoditi, in balia di gente che sul territorio non conta nulla, che non ha neppure il voto della madre». Attorno, nel Transatlantico, altri grillini di governo, sia pure con parole più felpate, stigmatizzano le colpe degli «invasati». «Alla fine scommette il sottosegretario al Mef, Alessio Villarosa daremo lo scudo penale a quelli di ArcelorMittal, per dimostrare che questa storia è tutta un alibi». L'ala accademica del movimento, il professor Nunzio Angiola, ci tiene, invece a precisare che lui è sempre stato a favore dello «scudo penale» e che i 5stelle debbono approcciarsi alle politiche industriali in altro modo. Mentre il «diversamente grillino», il golfista Luca Carabetta, giura che non ci sarà «la crisi»: «Proprio per gestire problemi della portata dell'Ilva c'è bisogno di un governo».

Una speranza che, però, si scontra con lo spirito degli «invasati»: quelle schegge impazzite ed estreme dei 5stelle, che, grazie al ricatto dei numeri al Senato, hanno condizionato l'intera maggioranza in questa prima fase del governo giallorosso. Si tratta di minoranze, approdate nel movimento sull'onda dell'estremismo ecologico su temi come le scie chimiche o i no vax, fautrici della decrescita felice, che propugnano lo scontro ideologico, sempre o comunque, com'è successo prima sul Tap, poi sulla Tav, ora sull'Ilva e, magari, domani su Alitalia. Una sorta di mina vagante, innescata sotto le poltrone dell'esecutivo che potrebbe esplodere nei momenti più imprevedibili e per le cause più singolari. L'altro ieri le ha evocate, con un tono disarmato e disarmante, alzando le mani al cielo, lo stesso Giggino Di Maio. «Il problema è che quelli come la Lezzi ha spiegato agli altri ministri non riesco a gestirli. Non riesco a costringerli a votare lo scudo penale». Un'affermazione che ha mandato su tutte le furie il ministro per il Sud, il piddino Giuseppe Provenzano. «Se mi parlate della Lezzi è insorto io neppure mi siedo. Perché parlare della Lezzi in Consiglio dei ministri è paradossale, assurdo».

E già, perché gli «invasati» 5stelle sono l'immagine plastica di un Paese ripiegato su se stesso, incapace nelle sue contraddizioni di gestire la pur minima politica industriale. Osserva ancora Provenzano: «Ma come si può pensare che uno dei leader mondiali della produzione dell'acciaio accetti le prescrizioni che gli impone il consulente di un tribunale di provincia?! Ma su. Solo in Italia». Ed ancora: «Ora è pure probabile che la ragione principale dell'atteggiamento di AncelorMittal siano i conti che non tornano, ma noi con la storia dello scudo penale, gli abbiamo dato un pretesto. Con il paradosso che quando troveremo un nuovo commissario, alla Bondi, anche lui per accettare l'incarico, esigerà uno scudo penale. E ricominceremo da capo».

La situazione, infatti (tra minacce, vertici e polemiche) sembra bloccata. Il Pd vorrebbe che lo «scudo penale» fosse reintrodotto in ogni caso. «Ci vorrebbero cinque minuti per mettere ArcelorMittal di fronte alle proprie responsabilità» ha spiegato Graziano Delrio. Il ministro Patuanelli magari sarebbe anche disposto. Ieri alla Camera ha chiesto innanzitutto ai grillini e poi agli altri partiti una prova di responsabilità verso il Paese. Un discorso che gli ha meritato «un pomposo complimento» parole del ministro da parte dello stesso Delrio. E in fondo Patuanelli è quello che soffre più di tutti la grande contraddizione grillina. «È un decreto si è sfogato con il suo staff che abbiamo scritto noi. Due settimane fa quelli di ArcelorMittal erano venuti con il cappello in mano. La settimana scorsa, invece, dopo l'eliminazione dello scudo penale, sono venuti baldanzosi. Certo se avessimo posto la questione minacciando il rischio di elezioni anche ai più riottosi dei nostri, poteva finire diversamente. Ma chi può dirlo?!». E un rischio del genere quel «surrogato» democristiano di Giuseppe Conte non è disposto a correrlo. Così il premier temporeggia, preferisce giocare con la tattica dell'azzeccagarbugli: magari ArcelorMittal domani gli apre uno spiraglio; magari rompe del tutto e gli toglie le castagne dal fuoco, evitandogli di riproporre in Parlamento lo «scudo» della discordia.

Solo che le «schegge», gli «invasati», sono imprevedibili. Sono come il reattore dell'incidente nucleare di Chernobyl. È difficile conviverci. «Il problema principale del Pd spiega Filippo Sensi, ex portavoce di Renzi e Gentiloni è stabilizzare i grillini». «Mi ricordano il trotskista Franco Turigliatto - osserva con distacco Pierluigi Bersani - che nel 2008 per un puntiglio fece cadere il governo Prodi, dando l'Italia a Berlusconi. Una sorta di disutilità marginale». «Il problema gli va dietro Guglielmo Epifani, ex segretario Cgil ora in Leu è che all'epoca c'era un solo Turigliatto, ora tra i grillini ce ne sono tanti».

E il rischio che la legislatura finisca all'improvviso, senza una ragione e senza un perché, fa aguzzare l'ingegno - o coltivare la follia - a chi, invece, vuole che continui. «I grillini confida il forzista Roberto Occhiuto faranno di tutto per evitare le urne. Nella mia Commissione parlamentare ce ne sono due pronti anche a diventare leghisti. Sono sicuro che male che vada 50 di loro si staccherebbero dal movimento, pronti a fare un governo con il centrodestra guidato da Salvini». Mentre Gianfranco Rotondi caldeggia già nella prossima settimana la nascita di due gruppi parlamentari alla Camera e al Senato dal ceppo di Forza Italia, per sostituire in caso di necessità «le frange impazzite» ed evitare le urne.

E il Pd, cioè il partito che più soffre «gli invasati» del grillismo? Per tenerli sotto controllo agita l'arma delle elezioni: «A primavera è il leit motiv di questi giorni di Andrea Orlando si vota». E chiede consigli a chi è già rimasto scottato. Ieri, nel bel mezzo del Transatlantico, lo stesso Orlando ha illustrato il problema al plenipotenziario leghista, Giancarlo Giorgetti. «I grillini ha fatto presente si stanno spappolando, Di Maio non li controlla più. Voi votereste lo scudo penale per l'Ilva?». «Certo ha risposto l'interlocutore ma un attimo dopo il governo dovrebbe dimettersi. Ve l'avevo detto che è impossibile governare con quei matti». Poi Giorgetti, leghista di lungo corso, ha regalato una battuta sul declino della classe dirigente ad una vecchia conoscenza lombarda, come l'ex dc Bruno Tabacci: «Siamo riusciti a trovarne peggiori di noi!».

Già, al peggio nel Belpaese non c'è mai fine.

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