Cronache

Guidi firma il bando: ora l'Ilva è in vendita

Ecco chi sono i pretendenti che proveranno a contendersi il complesso siderurgico di Taranto, il più grande d'Europa

Veduta esterna dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto
Veduta esterna dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto

Ilva in vendita entro giugno. E torna a circolare il nome della multinazionale Arcelor-Mittal fra i pretendenti. Il ministro dello Sviluppo cconomico, Federica Guidi, ha firmato il decreto che autorizza la cessione del complesso siderurgico di Taranto (il più grande d'Europa) e l'avvio delle procedure per il trasferimento delle aziende che fanno capo alle società del gruppo attualmente in amministrazione straordinaria.

Domani sarà pubblicato – sulla stampa nazionale e internazionale - il bando per le manifestazioni di interesse "al fine di consentire – spiega una nota del ministero - l'espletamento delle relative procedure entro il termine del 30 giugno 2016”, come previsto dal decreto-legge approvato dal Consiglio dei ministri il 4 dicembre e che da giovedì passerà al vaglio delle commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera per la conversione in legge. Il programma di cessione, predisposto dai commissari Ilva, Piero Gnudi, corrado Carruba ed Enrico Laghi, avrà una durata di quattro anni.

Nei prossimi trenta giorni, concessi dal decreto, gli acquirenti dell'Ilva dovranno battere un colpo. Partirà poi la procedura di approfondimento delle proposte che scadrà il 30 giugno. Tra i nomi è tornato in auge negli ultimi giorni quello della multinazionale dell'acciaio Arcelor-Mittal, gli “indiani” che già da un anno avevano mostrato interesse a rilevare lo stabilimento siderurgico di Taranto, sgravato però di ogni peso relativo ai problemi giudiziari e ambientali. Arcelor-Mittal non dovrebbe, però, fare da sola ma operare insieme a una cordata con Cassa depositi e prestiti e altri nomi di imprenditori italiani: Arvedi, Amenduni, Marcegaglia. All'acquisto dell'Ilva sarebbe interessato anche un gruppo svizzero di cui si potrebbe sapere di più proprio nei prossimi giorni.

Resta aperta, però, la polemica sulla mossa del governo che ha spiazzato Confindustria a Taranto e spaccato i sindacati. "Che qualcuno amerebbe veder chiudere Taranto è cosa nota: ma non lo accetteremo" ha sottolineato in un'intervista il premier Renzi alla vigilia della decisione del ministro Guidi, polemizzando con quel “partito anti-Ilva” che alligna nell'Unione europea e lanciando un vero e proprio altolà ai “maestrini” di Bruxelles. Ma a sentire il sindaco di Verona Flavio Tosi "il decreto del Governo che punta a vendere l'Ilva di Taranto è una sorta di esproprio proletario di stampo sovietico. Quando il decreto arriverà a Montecitorio, faremo sentire la nostra voce. Siamo in totale disaccordo con l’intento del governo. Dopo sette salvataggi pasticciati dell’azienda, si è arrivati – ha aggiunto Tosi - a una soluzione, si fa per dire, che riporta il Paese alla non rimpianta Unione Sovietica, dove lo Stato spossessa il privato di una sua legittima proprietà - aggiunge -. Proprio un bel biglietto da visita per chi dall’estero volesse investire sulla nostra siderurgia. Così si svenderà per pochi euro, se non anche gratis, alle solite cordate all’italiana, tipiche di certe pessime privatizzazioni, fenomeno tristemente noto nel Belpaese".

Sul fronte sindacale continuano le aspre divisioni rispetto alla decisione del governo. La pensa come Tosi il segretario nazionale della Uilm Rocco Palombella: "Il processo di accelerazione di vendita o privatizzazione dello stabilimento creerà non poche difficoltà da un punto di vista degli assetti industriali. Si rischia di svenderla. Se non è in grado lo Stato stesso di farsi carico dell'azienda, come può farlo un privato? Un anno fa – prosegue Palombella - i possibili acquirenti volevano garanzie e ad oggi la situazione non è cambiata, anzi è peggiorata: si è fermato l'altoforno numero 5 (il più grande, garantiva il 40 per cento della produzione), non ci sono stati i processi di ambientalizzazione necessari e ad aggravare tutto questo c'è stato anche il blocco degli 1.2 miliardi dei Riva che dovevano servire al risanamento. Ci auguriamo solo - conclude Palombella - che non ci sia nè un ridimensionamento produttivo, nè una riduzione dei livelli occupazionali e, soprattutto, l'ambientalizzazione dello stabilimento che è la parte più importante per poter dare una prospettiva allo stabilimento."

Appoggia, invece, la decisione del governo la Fim Cisl da sempre contraria a qualsiasi processo, vero o presunto, mascherato o no, di “nazionalizzazione”: “Ci auguriamo – spiega il segretario generale nazionale Marco Bentivogli - che ci sia capacità di selezione da parte del governo di soggetti con reali intenzioni di investimento e rilancio. Servono soggetti industriali che si occupino realmente del futuro di Ilva perchè la crisi dopo il sequestro è costata non solo dieci miliardi di euro, ma anche un'ambientalizzazione che si è fermata e la perdita di metà della capacità produttiva fissata dall'Aia, circa 4 mln di tonnellate". Bentivogli snocciola le cifre di un bollettino di guerra.

La guerra tra lavoro, ambiente e salute che grava, ancora come un incubo, sui cieli di Taranto.

Commenti