Cronache

I vegani sono diventati una casta

Forse certe cose non si dovrebbero dire, ma che liberazione quando qualcuno le dice

I vegani sono diventati una casta

Forse certe cose non si dovrebbero dire, ma che liberazione quando qualcuno le dice. «I vegani sono una setta, sono uguali ai testimoni di Geova. Io li ammazzerei tutti» ha sbottato Vissani nello studio di In onda, il programma di Parenzo e Labate (dove fra l'altro c'ero anche io, in collegamento, solo che al contrario dello sfrenato cuocone umbro cerco sempre di trattenermi e non ho pronunciato nulla di notiziabile). Chiaramente l'ultima affermazione, «li ammazzerei tutti», è un'iperbole, e non mi metterò qui a spiegare le figure retoriche: a chi si è scandalizzato consiglio la Treccani o anche Wikipedia oppure, ancor meglio, i manuali di Bice Mortara Garavelli.

Mentre nell'accostamento alle sette religiose non c'è nulla di retorico, è qualcosa di molto semplice e secondo me perfino ovvio. Mi vengono in mente almeno altri due personaggi che in passato hanno fatto affermazioni simili. Pellegrino Artusi, l'uomo che con La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene ha unificato gastronomicamente l'Italia appena unificata politicamente, insomma il Garibaldi della tavola, in una pagina del suo famoso ricettario scrive: «Non appartenendo io alla setta dei pitagorici...». Vegetariano è aggettivo novecentesco, nei secoli precedenti chi non mangiava carne veniva considerato un seguace di Pitagora, filosofo e matematico dell'antica Grecia che imponeva agli sfortunati discepoli una dieta rigidissima e capricciosa: proibiva anche i legumi, innanzitutto le fave, e poi il vino, i funghi, l'aglio... L'altro personaggio è George Orwell, lo scrittore che con 1984 ha prefigurato la violenza del politicamente corretto: «Ci sono persone, come i vegetariani o i comunisti, con cui è impossibile discutere». Perché i settari, dal punto di vista politico o alimentare cambia poco, sono impermeabili alla ragione, alla scienza, alla realtà, a tutto quello che potrebbe mettere in crisi le loro certezze.

C'è un libro ponderoso, Il mito vegetariano, edito da Sonzogno e scritto da Lierre Keith che proprio come Vissani considera il veganesimo «una sottocultura che rasenta il culto» e lo smonta, con argomenti e numeri, da ogni punto di vista. Dal punto di vista nutrizionale, dal punto di vista etico, dal punto di vista agricolo: «I cibi che i vegetariani sostengono che ci salveranno sono proprio quelli che distruggono il mondo. La coltivazione di monocolture annuali non sarà mai sostenibile». Le pagine sulla soia vi faranno passare la voglia di tofu per sempre. Lierre Keith è un'ex vegana, oltre che una divulgatrice scientifica, e nessuno meglio di lei può svelare il lato oscuro del fenomeno, ad esempio i pericoli dell'alimentazione vegana per i bambini e per le donne in età feconda. Ma in pochi, in pochissimi, leggeranno un saggio di 377 pagine mentre in tanti hanno ascoltato la dichiarazione di Vissani.

Anche un po' sgrammaticata (non ha detto proprio «li ammazzerei», ha detto «li ammazzerebbe») però pazienza: c'è più bisogno di buon senso che di correttezza.

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