Cronache

Hikikomori, 100mila casi in Italia: vivono auto-reclusi in casa

In genere si tratta di ragazzi tra i 12 e i 30 anni che, a causa di disturbi relazionali o di gestione delle emozioni, smettono di andare a scuola, all'università, di avere amici e di relazionarsi con la famiglia

Hikikomori, 100mila casi in Italia: vivono auto-reclusi in casa

Isolati nelle loro stanze, precludendosi qualsiasi contatto reale con il mondo esterno. Sono i ragazzi Hikikomori, dal giapponese "stare in disparte" e anche in Italia il fenomeno sta avendo un vero e proprio boom: 100mila i casi registrati.

Lo rivela a Tgcom24 Valentina Di Liberto, sociologa e fondatrice di "Hikikomori Coop Sociale Onlus", centro che si occupa di nuove dipendende patologiche e di problematiche relazionali.

In genere si tratta di ragazzi tra i 12 e i 30 anni che, a causa di disturbi relazionali o di gestione delle emozioni, smettono di andare a scuola, all'università, di avere amici e di relazionarsi con la famiglia. L'unica finestra sul mondo rimane il loro computer dal quale non riescono a separarsi, diventandone completamente dipendenti.

Gli amici che mancano nella vita reale, vengono sostituiti dai personaggi virtuali dei videogame e le missioni di questi eroi fantasy diventano la loro ragione di vita.

Secondo la sociologa, due sono le tipologie individuabili di Hikikomori che, sebbene portino al medesimo risultato di auto-reclusione, hanno origine da problematiche quasi antitetiche.

In un caso il soggetto vive un sentimento di inadeguatezza rispetto al mondo circostante, anche in relazione al proprio aspetto fisico. Si percepiscono come brutti e hanno difficoltà a relazionarsi.

L'altra tipologia, invece, "tende al narcisismo". L'assenza di relazioni è legata a un senso di superiorità che impedisce il confronto con gli altri.

Per capire se ci si trova davanti a un caso di sindrome da Hikikomori, ci sono alcune piccole "spie" che si presentano prima dell'isolamento in camera.

I problemi relazionali e la difficoltà a gestire le emozioni si trasformano "poco alla volta in sintomi psicosomatici causando mal di testa o mal di pancia, generalmente prima di andare a scuola o all'università e se il problema non viene riconosciuto subito il giovane comincia ad assentarsi. È la prima fase dell'isolamento", riferisce la Di Liberto.

Questi piccoli segnali sono importanti indicatori per le famiglie, che a quel punto dovrebbero intervenire "ascoltandoli, senza sottovalutare la situazione. Un errore molto comune - sostiene la sociologa - è quello di staccare il computer, eliminando l'ultimo strumento di comunicazione che il giovane ha col mondo esterno".

In Italia i ragazzi Hikikomori sono 100mila circa, di questi una cinquantina sono seguiti dal centro "Hikikomori Coop Sociale Onlus" attraverso incontri domiciliari o via Skype.

Tra i progetti futuri del centro, l'apertura di una struttura residenziale dove ospitare le persone affette dalla sindrome.

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