Cronache

Ho provato la chat anonima tutta insulti e parolacce

L’ha inventata un saudita e in pochi mesi ha conquistato il mondo intero

Ho provato la chat anonima tutta insulti e parolacce

Ho passato un giorno con Sarahah. E non è stata una bella esperienza. Sarahah non è una donna, ma la chat più in voga del momento. Se non ne avete ancora sentito parlare non preoccupatevi, tra poco succederà. Sarahah in arabo significa «onestà», un nome dal sapore vagamente grillino per un socialnetwork nato in Arabia Saudita e ora popolare in tutto il mondo. La caratteristica di questa rete è l'anonimato: tutti possono scrivere a tutti senza mostrare la propria identità. E proprio da questo postulato dovrebbe discendere, secondo l'ideatore, tal Zain al-Abidin Tawfiq, la presunta onestà: senza metterci la faccia ognuno può dire quello che pensa del prossimo suo. L'esatto contrario di Facebook, insomma, dove la faccia è la ragione aziendale, ma non ha mai impedito a nessuno di scrivere sesquipedali boiate. Immaginate cosa possa accadere dietro il totale anonimato...

Il genitore di Sarahah sostiene di averla inventata per migliorare le prestazioni sul posto di lavoro. Nelle sue ingenue ambizioni fa quasi tenerezza: doveva essere una chat anonima che permettesse ai dipendenti di dare consigli al proprio datore di lavoro su come ottimizzare le performance. Ovviamente si è subito trasformata in una bolgia infernale di sporcaccionate di ogni genere. E qualche dubbio deve essere venuto anche allo stesso Tawfiq se, ogni volta che provi a scrivere un messaggio, ti compare la scritta: «Lascia un messaggio costruttivo». Una excusatio non petita, un monito disatteso. In 24 ore ho raccolto una ventina di commenti decisamente distruttivi, scritti da chissà chi e ai quali è rigorosamente impedito rispondere. Per le prime due ore è piuttosto divertente, poi inizia a lievitare una vaghissima incazzatura nei confronti di ignoti, seguita da un certo disgusto per l'umanità. Dopodiché inizi a sospettare di tutti e ad appiccicare nomi e facce ai profili dei vari militi ignoti dell'insulto digitale. Immagini colleghi, ipotizzi conoscenti o vicini di casa che ti recapitano anonimamente gli sfoghi più improbabili, quello che covano quotidianamente dietro i saluti di rito e i viaggi in ascensore. Nelle poche ore di esistenza digitale su Sarahah ho scoperto in ordine sparso: di dovermi tagliare i capelli («dove vai con quella testa?»), di stare sulle balle a un discreto numero di persone, di essere un «servo della casta», un «pennivendolo» e la deiezione di un quadrupede (eufemismo). A completare il quadro alcune frasi assolutamente prive di senso, una bestemmia e una sfilza piuttosto variegata e ingegnosa di parolacce. A parziale consolazione di questa antologia di improperi sono arrivate anche due proposte sentimental-sessuali. Assolutamente finte. Ma, dopo una teoria infinita di insulti, si è propensi a usare come balsamo per il proprio ego anche le più improbabili missive.

Sarahah è un misto tra il microfono aperto di Radio Radicale - quello in cui, sfrequenzando sull'autoradio, sentivi qualcuno smadonnare o insultare il politico di turno - e le vecchie lettere di minaccia scritte coi ritagli dei giornali. Un esperimento sociale divertente, ma dai risvolti potenzialmente pericolosi. Non a caso la app furoreggia tra i teenager e in molti Paesi del mondo gli esperti hanno già lanciato l'allarme cyberbullismo.

A fine serata, disinstallo l'applicazione dal mio iPhone, tiro un sospiro di sollievo e ho un'idea: sogno una app che si chiami Nafaq, in arabo «ipocrisia», dove tutti si fanno i complimenti. Perché se questa è l'onestà, nei rapporti con il prossimo quanto sarebbe bella un po' di sana, educata e garbata ipocrisia?

Ps. Comunque sono andato a tagliarmi i capelli.

Francesco Maria Del Vigo

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