Cronache

I detenuti islamici minaccano i secondini: "Lavatevi prima di toccare il Corano"

Nelle carceri italiani comandano i musulmani estremisti. I giudici proteggono gli islamici ma non controllano quelli radicalizzati

I detenuti islamici minaccano i secondini: "Lavatevi prima di toccare il Corano"

Quando i poliziotti entrano nelle celle per fare una perquisizione, devono stare molto attenti. Se non si sono lavati le mani con il sapone prima di toccare il Corano, i detenuti islamici possono denunciarlo. E se a pranzo non viene servita, per esempio, una "trota dotata di squame" anziché la carne di maiale, secondo i precetti di Allah che impone ai fedeli di magiare solo cibo halal, il detenuto musulmano può denunciare l'intera struttura. Questo perché sa che troverà sempre un magistrato a garantire quei diritti della Corte europea dei diritti dell’uomo. Lo stesso magistrato che, quando c'è da stargli addosso per evitare che prepari un attentato, gira lo sguardo da un'altra parte.

Secondo l'ultima informativa del ministro della Giustizia Andrea Orlando, nelle carceri italiane si sono almeno 10mila detenuti di religione islamica. Di questi ben 7.500 sono praticanti e 350 i radicalizzati. Nelle celle delle maggior parte però, come documenta Cristiana Lodi in un reportage pubblicato oggi da Libero, vengono incollate al muro i santini del Califfo Abu Bakr al Baghdadi e del leader religioso di Bengasi Abu Amer al Jazrawi e le fotografia dell'orrore jihadista nello Stato islamico. Molto spesso appaino anche le bandiere nere dell'Isis "accanto a soldati che imbracciano fucili". Il radicalismo islamico, come ammesso dallo stesso ministero della Giustizia, si è infiltrato nella maggior parte delle carceri italiane e non può essere controllato.

"I detenuti islamici sono supponenti e irrispettosi nei confronti degli italiani - raccontano le guardie carcerarie - sono avvezzi a comportarsi come fosse loro tutto dovuto". Appena entrano in galera imparano subito a dire "Tu razzista!". La sanno dire perfettamente anche quando non conoscono una parola in italiano. "E - continuano gli agenti - la usano per ricattare e chiedere o lamentare qualsiasi cosa". Il vero problema, però, è dettato dall'impossibilità di dare un nome vero a tutti questi detenuti. dalle carceri provamo a contattare il Consolato d'appartenenza o quelli presunti, ma non si riesce mai a risalire alla vera identità. "Perché - spiegano - sono i Consolati stessi a nasconderne i documenti d’identità o a farli sparire".

In base sl regime carcerario che consente a chi sta nelle sezioni non sottoposte all’alta sorveglianza di non rimanere necessariamente in cella, i musulmani si aggregano. "In mezzo a loro ci sono le guardie - spiega a Libero il direttore di un carcere - ma nessuno può proibire ai carcerati di parlare. Al tempo stesso, nessun agente è in grado di capire cosa si dicono in arabo gli islamici". Non solo. In tutte le carceri viene proclamato un imam: sarà lui a guidare la preghiera il venerdì e a pronunciare il sermone ovviamente in arabo che le guardie non potranno comprendere. E ancora: in base all'articolo 28 del regolamento carcerario ("Rapporti con la famiglia"), ciascun galeotto ha diritto a sentire i propri cari. Ma, dal momento che la maggior parte delle identità sono false, succede che i destinatari delle chiamate e delle corrispondenze non possano essere controllati. Infine, anche le conversazioni telefoniche avvengo in arabo.

E nessuno si mette ad ascoltarne i contenuti perché nessuno è in grado di caopire l'arabo.

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