Cronache

I furbetti del cartellino pagati per stare a casa

Il decreto Madia è un bluff: i dipendenti pubblici assenteisti sono sospesi, ma prendono metà stipendio

I furbetti del cartellino pagati per stare a casa

Il dipendente comunale di Boscotrecase (Napoli), con la scatola in testa per non farsi riconoscere durante la delicata operazione di «pluritimbratura» del cartellino, è ormai un'icona pop: la furbizia elevata a «opera d'arte» surrealista. Peccato sia tutto, drammaticamente, reale. Compreso l'assenteista che, cosciente di essere ripreso dalla telecamera, alza il dito medio e continua a strisciare il badge: uno, due, tre, quattro volte. Compresa la guardia giurata che, accortasi della cimice spia, la fa saltare a colpi di scopa.

Benvenuti nel fantastico mondo dei furbetti del cartellino che dal 13 luglio (entrata in vigore del decreto Madia) «dovevano essere licenziati entro 48 ore».

Renzi lo andava dicendo già da gennaio, mentendo sapendo di mentire o - e la circostanza non sarebbe non meno grave - credendo davvero che ciò poteva essere possibile. I dati raccolti dal Giornale da metà luglio ad oggi dimostrano che la tanto decantata «stretta anti-furbetti» non solo non c'è stata, ma rischia di peggiorare una situazione già di per sé vergognosa.

Negli ultimi due mesi e mezzo in Italia sono stati smascherati circa 450 assenteisti. Tutta gente che, nelle fatidiche «48 ore» di renziana memoria, sarebbe dovuta essere messa alla porta e, possibilmente, sostituita da disoccupati volenterosi di lavorare. Nulla di più falso. Facendo infatti una rapida verifica nei Comuni dove i 450 assenteisti sono stati pizzicati da polizia e carabinieri in flagranza di «evasione» dall'ufficio, si scopre che in quasi tutti i casi i «furbetti» sono stati semplicemente sospesi (il definitivo licenziamento può essere ratificato solo da una sentenza penale ndr) e continuano a beneficiare di circa la metà dello stipendio. Come dire: mentre i disonesti vengono miracolati (vale a dire pagati per non far nulla), lo Stato risulta «cornuto e mazziato» (beffato cioè dai furbetti del cartellino che seguitano a essere retribuiti, se pur con una paga decurtata). Intanto tutti e 450 i sospesi dell'era «post decreto Madia» hanno presentato ricorso e la loro posizione risulta quindi «congelata» finché un magistrato non si pronuncerà con sentenza. E qui cominciano altri guai. I maggiori giuslavoristi (gli esperti in diritto del lavoro) concordano infatti su un punto: l'iter - diciamo così «rapidamente punitivo» - previsto dalla premiata ditta Renzi&Madia presenterebbe «evidenti rischi di anticostituzionalità».

«Ad esempio - conferma al Giornale l'avvocato Gabriele Fava, esperto in giurisprudenza del lavoro - i tempi eccessivamente ristretti relativi all'istruttoria di licenziamento non sarebbero garanti dei legittimi diritti di difesa. Una situazione di pregiudizio che, se accertata in sede processuale, non solo porterebbe al reintegro del presunto furbetto, ma anche al riconoscimento in suo favore degli stipendi arretrati non corrisposti e, soprattutto, di ulteriori risarcimenti (prevedibilmente cospicui) per i danni materiali e morali patiti durante la fase di illegittima sospensione».

Ma ad evidenziare come il problema non sia solo di natura penale e disciplinare, è il giuslavorista Pietro Ichino: «Bisogna responsabilizzare i dirigenti. Ma questi ultimi non hanno alcun incentivo a farlo». Senza contare che in molti dei «video della vergogna» sono proprio i dirigenti a vestire i panni dei più incalliti furbetti.

L'elenco è lunghissimo: dai dipendenti dell'Agenzia delle Entrate (ma in questo caso sarebbe meglio parlare di «Agenzie delle Uscite») intenti ad Asti a svignarsela dagli uffici, agli impiegati (come accaduto di recente in Campania, Puglia, Veneto, Toscana, Calabria, Piemonte, Sicilia) sorpresi in orario di lavoro al bar, al mercato, a fare shopping, a giocare ai videogiochi, a coltivare l'orto o, addirittura, a disputare gare sportive.

Negli ultimi 6 mesi solo il Comune più rigoroso d'Italia è stato quello di Sanremo che si è mosso con particolare efficacia: 32 licenziamenti, 98 sospensioni, 18 sanzioni, 17 rimproveri scritti ma anche 26 archiviazioni a dimostrazione che non si può fare di tutta l'erba un fascio. Ma tanto zelo ha portato a un risultato paradossale per l'intera cittadinanza: «Alcuni servizi primari per l'utenza sono stati penalizzati da tali provvedimenti che hanno scoperto alcuni settori che erano già in deficit di personale», ha denunciato il sindaco di Sanremo. Avanzando anche una proposta sensata: «Le amministrazioni che, come la nostra, usano giustamente il braccio di ferro contro i furbetti, dovrebbero godere din un canale privilegiato nell'assunzione di nuovo personale chiamato a sostituire quello rimosso per ragioni disciplinari». Più complesso e di carattere generale il rilievo mosso dall'ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi: «Il vero deterrente sta nel livellamento normativo tra lavoro pubblico e privato. Serve cioè un diritto comune del lavoro che porti al superamento dell'articolo 18 anche nel pubblico impiego».

Intanto continuiamo ad assistere allo show della dipendente comunale che timbra il cartellino e poi corre ad aiutare il marito fruttivendolo; idem per il dipendente della Asl che striscia il badge e si fionda ad aiutare l'amico che ha un'impresa edile.

Quando si dice, la «solidarietà» sociale.

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