Cronache

I numeri uno e il peso delle colpe

I numeri uno e il peso delle colpe

I morti sfigurati. Il dolore senza rimedio. La rabbia della gente. È difficile misurarsi con i sentimenti delle persone di Viareggio che ribolle come il mare che l'ha resa famosa quando è in tempesta. E però nell'attesa non scontata e liturgica delle motivazioni del verdetto, occorre pur dire che sgomentano queste condanne durissime. Una spada della giustizia così affilata fa paura e qualcuno a torto penserà che la lama sia stata forgiata nella schiuma torbida della vendetta. I vertici delle società coinvolte, da Trenitalia a Rfi, sono stati puniti con anni e anni di carcere e Mauro Moretti, l'ex amministratore delegato di Fs, ha preso 7 anni. Certo, la strage è una pagina buia e terribile nella notte italiana e le cicatrici di quel che è successo rimarranno per sempre sulla pelle dei sopravvissuti e della città. Ma la domanda da farsi è proprio questa: è giusto che a pagare, perché è indubbio che qualcuno abbia sbagliato, siano i numeri uno? Ci sono materie e settori che non ammettono lo sbaglio perché questo avrebbe conseguenze catastrofiche. Ma la negligenza va valutata e colpita nel punto della scala gerarchica in cui è avvenuta. A chi è in alto si possono addossare i sensi di colpa non le colpe, solo perché quella è la posizione che ricoprono. Ci possono essere stati, anzi ci sono stati comportamenti improntati alla sciatteria, alla superficialità, al menefreghismo che in certi campi è una scommessa ai dadi fra la vita e la morte e un atto di cinismo raggelante. Ma si resta basiti quando si scopre che una strage immane viene addebitata al colletto bianco di turno per via di un giunto, di un bullone, di una saldatura sbagliata, di una riparazione non corretta effettuata magari all'estero, a centinaia di chilometri di distanza dal teatro della sciagura. E non parliamo di piccole aziende a gestione familiare, quelle in cui non si distingue nemmeno il capannone dalla villetta del proprietario. No, siamo davanti a colossi dai fatturati miliardari, con migliaia di dipendenti e stabilimenti e officine ovunque nel Paese. Tutto può essere, anche che il più microscopico dettaglio sia il risultato di scelte «politiche» scellerate, ma si deve anche evitare il rischio di trasformare in un atto politico, collettivo, il processo penale che invece si svolge circostanza per circostanza, accusa per accusa, imputato per imputato. Tutte questioni che riaffioreranno puntualmente in Cassazione, in una disputa sottile sui confini del diritto.

Resta però il disagio per quei dirigenti pesati come delinquenti; non si tratta di schierarsi con i potenti o di compiacere chi comanda, ma di dare davvero una risposta adeguata allo strazio di chi ha perso tutto e all'angoscia di un Paese che non vuole più attraversare un incubo come quello vissuto a Viareggio la sera del 29 giugno di dieci anni fa.

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