Cronache

I partigiani e la lapide ipocrita alla bimba uccisa

I partigiani e la lapide ipocrita alla bimba uccisa

Una lapide che è un capolavoro di ipocrisia. Poche parole, più oscure di un rebus: «A tua memoria sfortunata bambina oggetto di ignobile viltà». Ci sono voluti più di settant'anni per dedicare una targa a Giuseppina Ghersi in quel di Noli, provincia di Savona, ma il risultato è un nuovo insulto, anzi una nuova violenza contro questa fanciulla, vittima di sevizie inenarrabili. Giuseppina Ghersi aveva tredici anni e portava sulle spalle la colpa imperdonabile di aver scritto un tema che era piaciuto a Benito Mussolini. Tanto che il Duce le aveva fatto avere, attraverso i suoi collaboratori, una lettera d'encomio. Una ragione più che sufficiente per condannarla a morte, anzi al martirio.

Fu prelevata da alcuni partigiani rossi, torturata con furia bestiale per giorni, infine uccisa il 27 aprile 1945. Un crimine che ancora oggi lascia basiti. Ma quel che sconvolge ancora di più è il dibattito che si è acceso nelle scorse settimane sull'opportunità di commemorare la poveretta. Il presidente provinciale dell'Anpi Samuele Rago se n'è uscito con una dichiarazione che sembra un meteorite arrivato da altre epoche: «Giuseppina Ghersi al di là dell'età era una fascista. Era una ragazzina ma rappresenta quella parte là». Affermazioni che paiono datate 1945 e non 2017, come se fossimo ancora nel clima delle vendette e non al riconoscimento del sangue dei vinti. È proprio vero che l'Italia non sa fare i conti con il proprio passato: da una parte, con la legge Fiano, si vuole mettere fuori legge ogni riferimento al fascismo, dall'altra anche la preghiera davanti alla barbarie, alla follia ideologica di chi sfilava orgoglioso fra i vincitori del conflitto, deve essere inzuppata nel politicamente corretto, fra silenzi, omissioni, censure. Non si può raccontare la verità perché la verità è ancora ostaggio di cupe teorie e di analisi in ritardo su tutto, sulla storia e sui sentimenti di umanità e misericordia che ancora una volta vengono ricacciati in un cassetto, come una brutta notizia. Così le lapidi diventano uno slalom fra troppi paletti e una pagina di vergogna dell'Italia contemporanea. Il Paese non riesce a seppellire il proprio passato, perché pregiudizi e tabù sono sempre li, pronti a scattare. E se si decide di alzare finalmente il velo è solo per mistificare ancora quel che accadde.

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