Cronache

I ragazzi non sanno leggere. Emergenza scuola, non clima

I ragazzi non sanno leggere. Emergenza scuola, non clima

Quousque tandem, direbbe uno di quei liceali che ancora si ostinano a imparare mentre il sistema brucia. Fino a quando la classe dirigente italiana assisterà impassibile allo sfascio della scuola twittando vacuità tipo #buonascuola o #piùscuola, come se bastasse un hashtag a spezzare quel circolo vizioso che devasta il futuro più della plastica in mare?

I dati Ocse - come quelli Invalsi - certificano che l'istruzione in Italia è in coma, forse irreversibile. Uno studente su quattro non capisce quel che legge, sono peggiorati in scienze, cresce il numero di chi non studia e non lavora; abbiamo una popolazione di docenti geriatrica (il 59% ha più di 50 anni, solo lo 0,5 è under 34); la dispersione scolastica è salita al 14,5%, perderemo un milione di studenti in 10 anni e la fuga dei cervelli ci costa 14 miliardi di euro. Un desolante panorama di macerie.

I responsabili sono tanti e bipartisan. Il centrodestra dei tagli al pubblico, degli aiuti alle private e della demonizzazione degli statali così come il centrosinistra che ha annientato ogni meritocrazia ed efficientamento per non disturbare la sua base elettorale. Tutti a parole invocavano più risorse, tutti nei fatti hanno piantato il loro chiodo nella croce. Così come fa ora il M5s. Il premier Conte ha affermato che la priorità è investire più efficacemente nel settore, il ministro Fioramonti ha chiesto «tre miliardi l'anno o lascio», l'ex ministro Tria ha promesso «capitale umano e infrastrutture». Il risultato? Una misera legge per assumere i precari (come se fosse sinonimo di qualità, fra l'altro), 43 milioni a bilancio di cui 30 per gli aumenti ai dirigenti e - nero su bianco - la promessa di ridurre il già miserabile 3,6% del Pil dedicato all'istruzione al 3,1 nel 2035. Un'eutanasia.

La realtà nauseante è che della scuola non frega più niente a nessuno, superata nella scala delle «nobili battaglie» dall'ambientalismo. È stata per anni argomento da talk show, dove mostrare preoccupazione per le generazioni future faceva tanto «leader responsabile». Oggi vanno più di moda Greta e il green. Tanto, alla prima finanziaria, quando bisogna far di conto, ogni virtuosa promessa si scioglie in prosaici rinvii o tagli. Lo dice anche l'Ocse che in matematica non andiamo male...

Certo, i soldi a pioggia non sono una risposta. Ci sono problemi culturali globali, come i social che banalizzano le modalità di apprendimento o le famiglie che boicottano gli insegnanti e abdicano al loro ruolo educativo. Ma poi ci sono anche guasti dovuti a mancanza - o mala gestione - di risorse economiche. Accorpare plessi elefantiaci e tagliare i docenti di sostegno per risparmiare livella verso il basso la qualità della didattica. Stipendi da fame e ruolo sociale azzerato rendono l'insegnante un mestiere da paria, scelto da una minoranza che lo sente come missione e passione e da una maggioranza che lo prende come un parcheggio. Chi ha talento sceglie un'altra strada e la scuola diventa refugium peccatorum di cercatori di posto fisso, mai premiati se bravi e mai puniti se scarsi e lavativi. Il che genera un'involuzione delle professionalità (per fortuna con notevoli, eroiche punte di eccellenza) e di riflesso una preparazione insufficiente dei ragazzi. I quali poi intasano le Università per lustri, costringendo i professori - anche qui pochi, mal pagati e precarissimi fino a età venerande - ad elargire lauree a gente che non sa scrivere una mail, figuriamoci una tesi.

Non è pensabile risolvere una situazione così compromessa in pochi anni. Ma se c'è una possibilità di invertire la rotta, questa passa da un cambiamento di prospettiva: smettere di parlare di «spesa» per l'istruzione da tagliare e iniziare a parlare di «investimenti» che portano un utile al Paese. Fino a quel momento, nessuno parli più di investire sugli studenti perché la priorità vera è investire gli studenti. Magari passandoci sopra in retro, per essere sicuri che non si rialzino più.

Perché solo uno su venti sa distinguere i fatti dalle opinioni, ma quelli che distinguono le promesse da cialtroni dall'impegno serio sono molti di più.

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